2015-02-21 16:11:00

"Maraviglioso Boccaccio", i Taviani contro la peste di oggi


Sarà in sala dal 26 febbraio “Maraviglioso Boccaccio”, il film che i due fratelli registi toscani Paolo e Vittorio Taviani, dopo un lungo periodo di riflessione, hanno tratto dal “Decamerone” di Boccaccio, prediligendo la cornice con la rappresentazione della peste e della fuga dei dieci giovani da Firenze e accogliendo cinque delle novelle del capolavoro. Per parlare delle crisi e degli orrori di oggi. Il servizio di Luca Pellegrini:

In modo schietto, da buon toscano, Vittorio Taviani ammette che il Boccaccio e il suo Decamerone sono un disastro per il cinema. Non soltanto perché le novelle del capolavoro sono cento, racchiuse in un’ambiziosa cornice, ma è la loro sintesi narrativa e la loro morale implicita, a rendere sempre difficile, se non impossibile, realizzarne un film compiuto, omogeneo. Pasolini, nel 1971, aveva dato sfogo a tutte le ribellioni sociali e culturali di quella decade, alla sensualità corporea, agli istinti di libertà, concentrandosi sulle novelle che più rispondevano alla sua poetica, alle sue esigenze. I fratelli Taviani, invece, trasformano la fuga dei dieci giovani e il loro piacere del racconto in un grande, nobile affresco di vita, che volutamente stride e si oppone all’incedere della peste fiorentina, rappresentata con una sorta di spettrale essenzialità. E le cinque novelle accolte nel film sono quelle che più rispondono all’idea di rappresentare l’amore, la fantasia, la tolleranza, la fedeltà, la pietà come gli unici farmaci in grado di curare le ferite e le malattie di quei tempi lontani e anche dei nostri. Paolo Taviani, colto fin dalla gioventù dalla “meraviglia” sprigionata da quelle pagine, precisa come è nato il loro ambizioso progetto:

“È nato in un momento di crisi che stiamo vivendo e di orrore intorno a noi nel mondo, come tutti quanti sappiamo. Queste immagini terribili che ci arrivano ci hanno fatto pensare a una peste nel mondo e quella che ci ha colpito nella letteratura è quella del Decamerone che – credo - non sia mai stata rappresentata al cinema. Il desiderio di questo gruppo di giovani di sopravvivere a questa peste. Da qui la contemporaneità: viviamo un momento di peste. Allora, in questo senso, abbiamo pensato a Boccaccio. È tanto tempo che vogliamo rappresentarlo. Così abbiamo ripreso questa idea che ora è tornata moderna, contemporanea, parla anche di noi. E così è nato il film”.

Nel cast, che vede la partecipazione di attori italiani tra i più rinomati e amati dal pubblico, Vittoria Puccini interpreta Catalina. Anche lei è rimasta colpita dalla attualità del film:

“L’attualità di Boccaccio è in tantissime tematiche che vengono affrontate nel Decamerone. Nel film dei Taviani la prima, la più evidente e più semplice è questa rappresentazione di un periodo di crisi, di difficoltà, di dolore, in cui però fortunatamente c’è una luce in fondo al tunnel e quindi si vuole mettere in scena una visione, una rappresentazione che ha un punto di vista in realtà positivo: la possibilità di una rinascita, di una ricrescita. Come? Attraverso questi giovani che non vogliono soccombere alla morte, che decidono di abbandonarsi alla fantasia, alla creatività, di usare la loro testa e di non farsi condizionare da quello che gli altri vorrebbero imporgli, di non farsi schiacciare dalla paura e dal terrore, dal pregiudizio e dall’importanza dell’amore inteso come in senso assoluto, nella maniera più intelligente e moderna che ci sia, nel rispetto dell’altro”.

Kim Rossi Stuart impersona il famoso Calandrino. Per lui uno specchio delle miserie umane:

“È un personaggio che a tratti sembra un po’ venir fuori dal cinema muto un po’ perché riassume in sé degli aspetti subdoli, tra i peggiori dell’essere umano. Forse, dietro questa facciata di semplice stoltezza, di insicurezza, di servilismo, questi mali molto comuni, si possono nascondere aspetti bestiali. Tuto questo però senza dimenticare  uno sguardo di pietas che esiste nei confronti di questo personaggio, di quello che siamo noi che è altrettanto importante”.

Jasmine Trinca è la nobile Giovanna, che premia l’amore di Federico degli Alberighi dopo che lui ha sacrificato tutto per lei. Un amore romantico e assoluto, come lo descrive:

“Monna Giovanna, una delle tante donne di questo racconto fatto per novelle e per novellatori, è esattamente l’idea trecentesca d’amore che però funziona anche ai giorni nostri. La cosa più romantica che ci sia è l’amore come lungamente ricevuto, in maniera gratuita e alla fine restituito con un’idea di fedeltà veramente alta. Però, è interessante perché Paolo e Vittorio Taviani attraverso l’amore, in qualche modo, danno la risposta a questa peste. La peste del Boccaccio era una peste materiale, quella dei giorni nostri probabilmente è uno stato di cose: più che qualcosa che arriva in movimento è qualcosa che ci fa rimanere nella palude”.

Infine, Paola Cortellesi, nello scomodo ruolo della Badessa Usimbalda. Nella mentalità borghese dei comuni del Trecento era lo sfogo per un anticlericalismo radicato nella società. Oggi quell’episodio, sottratto in modo intelligente dai Taviani alla farsa e alla strumentalizzazione, diventa la denuncia di un vizio comune. Lo spiega la brava attrice:

“Volevano raggiungere questo equilibrio. Volevano che fosse a volte addirittura grottesco, però assolutamente credibile nella severità, nella durezza, quasi convinta. È come le persone che non vogliono vedere: commettono un peccato e poi lo dimenticano e quando vanno a rimproverare qualcuno sono convinti davvero, si fanno giudici di qualcun altro senza guardare dentro di sé. Un po’, secondo me, lo facciamo tutti. Questa secondo me è la parte contemporanea di questo racconto”. 








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