2015-02-23 13:03:00

Afghanistan, liberato gesuita. Jrs: rimarremo nel Paese


È finita positivamente dopo otto mesi la vicenda di padre Alexis Prem Kumar, il gesuita indiano rapito in Afghanistan. Il 47.enne religioso era stato sequestrato il 2 giugno 2014 da un gruppo di uomini non identificati, mentre era in visita a una scuola del Jesuit Refugee Service (Jrs), non lontano da Herat. A James Stapleton, coordinatore delle Comunicazioni internazionali del Jrs, Linda Bordoni ha chiesto notizie su padre Prem e su come sia cambiata la missione del Servizio dei Gesuiti in Afghanistan:

R. – Il nostro direttore ha parlato con padre Prem: sta bene, sembrava forte. Ha rilasciato un’intervista alle televisioni italiane, ha detto parole veramente forti: ha detto che si sentiva veramente benvoluto, con un miliardo di indiani che volevano che lui tornasse a casa. Noi sappiamo adesso che lui è a casa e parlerà quando è pronto.

D. – La vostra prima reazione?

R. – Non ci sono parole per descrivere come ci sentiamo adesso. Negli ultimi otto mesi, come si può immaginare, c’è stata tensione nell’organizzazione, una paura per Prem: adesso è libero e possiamo tornare a lavorare con speranza per il futuro.

D.  – Lui ha ringraziato subito il governo indiano per come ha operato. Cosa ci può dire circa le comunicazioni che ci sono state per il suo rilascio?

R.  – Noi eravamo in costante contatto con le autorità afghane e con il governo indiano. Non abbiamo i dettagli di ciò che è successo negli ultimi momenti, ma è evidente che il governo indiano ha lavorato tanto e ha fatto quello che doveva fare e riportare Prem a casa.

D.  – Negli ultimi otto mesi, la vostra missione in Afghanistan ha lavorato? Qual è stato l’impatto di questo rapimento sul vostro lavoro?

R. – Inizialmente abbiamo chiuso i progetti, perché dovevamo capire ciò che stava succedendo. Dopo qualche settimana, un mese, abbiamo ricominciato. Era importante mandare un  messaggio alla comunità: non è colpa vostra, i bambini non dovrebbero pagare il prezzo per le azioni di pochi. La comunità è stata al nostro fianco durante tutto il tempo e ci ha dato e sicuramente ha dato alle autorità informazioni preziose e alla fine abbiamo portato a casa Prem.

D. – Quindi prosegue il lavoro sul terreno?

R. – Certo, abbiamo cambiato la nostra mentalità. Ci sono più regole di sicurezza. Herat era un posto sicuro, ora dobbiamo essere più attenti. Ma, detto questo, l’Afghanistan ha bisogno di educazione, i figli hanno bisogno di un’istruzione per creare un futuro, e questo è il nostro ruolo.








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