2015-02-28 14:09:00

Economia: segnali positivi dall'Eurozona, Italia torna a crescere


Migliorano le prospettive dell’economia europea e di quella italiana. Per Roma l’Istat prevede nel primo trimestre 2015 un ritorno alla crescita, sia pure dello 0,1%. E venerdì per la prima volta dal 2010 lo spread – il differenziale di rendimento – tra i titoli di debito italiani e quelli tedeschi è tornato sotto quota 100. Su quest’ultimo dato, Davide Maggiore ha raccolto il commento di Carlo Altomonte, docente di Economia dell’integrazione europea all’Università Bocconi di Milano:

R. - Sicuramente vediamo gli effetti dell’annuncio della Banca centrale europea di acquisto di titoli del debito pubblico italiano. Ovviamente questo riduce ulteriormente i tassi di interesse in Italia e rende soprattutto per il sistema bancario meno conveniente investire in titoli di Stato e quindi più conveniente prestare alle aziende e di conseguenza fare riaffluire il credito alle aziende. In questo senso vediamo già dei segnali dagli indicatori che stiamo monitorando.

D. - Più investimenti, più credito alle aziende. Quindi la prospettiva di un’economia che riparte e in questo senso l’Istat prevede una ripresa del Pil per il primo trimestre del 2015, anche se leggera; solo dello 0,1 per cento ….

R. - Sostanzialmente stanno girando in positivo tutti gli indicatori; dovremmo avere un 2015 che si chiude in positivo accelerando, fino a un totale probabilmente dello 0,6-0,7 per cento sull’anno; quindi i prossimi trimestri potrebbero vedere una crescita ancora più sostenuta per due fattori: un fattore esterno che indubbiamente ci aiuta, ovvero il fatto che il prezzo del petrolio sia molto basso e l’euro si sia svalutato rispetto al dollaro anche grazie alle azioni della Banca centrale europea, e dall’altro questo inizio di sostegno al mercato interno, ai consumi e agli investimenti attraverso i tassi di intesse bassi. Questo secondo canale in realtà è ancora indietro e i numeri non sono ancora positivi.

D. - Però vediamo che virano verso il positivo anche gli indicatori di altri Paesi europei che in questi anni di crisi sono stati in difficoltà come l’Irlanda, il Portogallo o la Spagna. Possiamo veramente credere in una ripresa a livello europeo?

R. - Sì, l’Eurozona dovrebbe fare +1,5 per cento, quindi quasi il doppio dell’Italia sul 2015, e andare altrettanto bene nel 2016. Sostanzialmente per gli stessi fattori ne beneficiano tutti i Paesi. L’Italia sconta di più un mercato interno più anemico, perché il crollo dei consumi e degli investimenti è stato più forte da un lato e dall’altro siamo un Paese molto indebitato e quindi evidentemente l’azione di finanza pubblica in Italia è stata più severa che in altri Paesi.

D. - Ma sono stati superati i fattori di sistema che avevano causato la crisi o è solamente una congiuntura positiva?

R. - I problemi dei bilanci delle banche finalmente sono stati superati grazie alle azioni della Banca centrale europea durante il 2015 e con l’avvio dell’Unione bancaria. Quello che manca è che probabilmente non possiamo superare il fatto che i Paesi europei sono tra loro molto diversi e quindi hanno delle produttività  tra loro molto diverse. Questa cosa tendenzialmente crea degli squilibri all’interno di un’area con una moneta unica che possono essere risolti solo attraverso un sistema di trasferimenti fiscali di natura implicita o esplicita.

D. - Quindi cosa di può fare per rendere stabile questa ripresa sia a livello europeo che dei singoli Paesi?

R. - Se noi vogliamo mettere definitivamente in sicurezza l’unione monetaria e consentirle di portare i  benefici che tutti si aspettano in termini di crescita, dopo la “pulizia” dei bilanci delle banche e quindi l’unione bancaria va anche messa in piedi un minimo di unione fiscale e di solidarietà fiscale tra Stati, un po’ come all’interno dell’Italia, dove c’è un trasferimento fiscale tra Nord e Sud per compensare i differenziali di produttività. La Grecia è un po’ il banco di prova dell’unione economica e monetaria perché con la Grecia e sulla Grecia dobbiamo metterci d’accordo sul tipo di solidarietà fiscale che gli Stati vogliono avere per i Paesi meno avvantaggiati e cosa chiedono in cambio in termini di riforma.








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