2015-02-28 13:00:00

Il Papa incontra le Coop. Gardini: l'uomo al centro delle imprese


Oggi il Papa riceve nell'Aula Paolo VI, in Vaticano, la Confederazione Cooperative Italiane. Circa 7 mila persone arriveranno da tutta Italia, in rappresentanza di tutti i settori produttivi. “È un evento che ci inorgoglisce ed entra a pieno titolo nella storia e nei valori fondanti di Confcooperative” ha detto il presidente dell'organismo Maurizio Gardini. Ma quale è la caratteristica di queste imprese? Alessandro Guarasci lo ha chiesto allo stesso Gardini:

R. – Porre l’uomo al centro delle imprese. La cooperativa è una società di uomini, la finalità non è la società di capitali che deve produrre utili. E poi c’è un ulteriore elemento, che differenzia la cooperativa rispetto ad un altro tipo di impresa: la mutualità; la mutualità interna nei confronti dei soci e la mutualità esterna nei confronti di un territorio; la capacità di capire che il modello di welfare oggi ha bisogno di una risposta nuova, perché ci sono bisogni nuovi e aumenta la platea e la capacità di offrire una risposta. Dico anche, come organizzazione, di chiedere una politica attenta alla costruzione di queste risposte.

D. – Tutto questo ha portato in questi anni ad un aumento dell’occupazione nelle cooperative, nonostante la crisi che ha colpito in modo molto forte l’Italia. Ma è un’occupazione stabile, “buona”?

R. – Teniamo monitorate le cooperative. Riteniamo di poter dire che le nostre cooperative applicano il rispetto del contratto di lavoro, ma diventa un merito nel momento in cui c’è una deregolamentazione selvaggia e ci sono molte imprese – ahimè anche cooperative, quelle che noi chiamiamo cooperative spurie – che non applicano i contratti di lavoro, non rispettano il lavoro, e non è lavoro buono: è lavoro precario, spesso con intrecci anche poco virtuosi, anzi delittuosi.

D. – Come “mafia capitale”, vero?

R. – Come  “mafia capitale” o come altre espressioni che nel Paese purtroppo emergono con frequenza. Noi chiediamo alle varie istituzioni di intervenire a tutti i livelli, perché siano colpiti, perché non siano messi in condizione di continuare a delinquere. Non si può sfruttare il lavoro e non si può sfruttare soprattutto chi è in maggior condizione di bisogno.

D. – In occasione della riforma delle banche popolari e forse anche del credito cooperativo, una riforma futura, si è parlato di un attacco alla finanza legata al territorio, all’impresa legata al territorio. Lei è d’accordo?

R. – Le popolari, soprattutto le grandi, sono cooperative che avevano il voto capitario, ma erano cooperative quotate: avevano intrapreso un percorso su un mare aperto, su un mercato ampio. Le cooperative e le Bcc (Banche di credito cooperativo) sono realtà più piccole, meno dimensionate, più legate al territorio, più partecipate. Non c’è stata riforma delle Bcc, ma è una riforma sospesa. E allora io dico: acceleriamo la capacità dell’autoriforma, perché se l’autoriforma viene da dentro, forse è più rispettosa dei bisogni e delle necessità del territorio; se viene imposta da fuori, magari viene imposta da chi quel territorio non lo vive.

D. – Ma se lei dovesse tenere un punto fermo di questa autoriforma delle Bcc, quale dovrebbe essere?

R. – La possibilità del territorio di esprimere la “governance”, il che non significa che non ci debba essere una rigida selezione. Abbiamo scontato purtroppo delle patologie che hanno dato fastidio al credito cooperativo: amministratori che sono andati in conflitto di interessi, che hanno fatto fare alle banche che amministravano delle scelte non corrette. Bisogna essere rigorosi, impedire che il conflitto di interesse diventi un metodo di governo, ma sarebbe un rischio ancora più grande quello di catapultare dall’esterno amministratori sul territorio, perché avere amministratori sul territorio significa avere gente che si misura con i soci, si misura col territorio e dà delle risposte.








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