2015-03-02 13:00:00

Ripartono a Ginevra i negoziati sul nucleare iraniano


Sono ricominciati questa mattina Ginevra i negoziati sul nucleare tra Iran e il team dei cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Da parte dell'Iran non c’è alcuna deviazione rispetto alle attivita' nucleari che sono sotto la supervisione dell’agenzia Onu per l'energia nucleare. Lo ha dichiarato, il direttore generale dell'Agenzia Yukiya Amano. Ma quanto si è vicini a un accordo con l’Iran? Elvira Ragosta lo ha chiesto Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies:

R. – Siamo vicinissimi e lontanissimi al tempo stesso, nel senso che sotto il profilo tecnico i team negoziali hanno di fatto definito i margini dell’accordo. Dove manca ancora invece un risultato concreto è il piano politico, e dove quindi il team del 5+1 e l’Iran non riescono a individuare un meccanismo per concretizzare – almeno fino ad oggi – la portata dell’accordo. Quello che in particolar modo credo sia utile segnalare è come da una parte e dall’altra sia l’Iran, sia gli Stati Uniti siano i veri artefici di questo negoziato. L’Europa è diventata più uno spettatore, anche per la sua incapacità di giocare un ruolo più incisivo. Quindi, è tra i due grandi attori del Golfo Persico e del Nord America che si gioca in questo momento la partita. C’è ovviamente tutta una serie di interessi contrari a che questo accordo veda luce, e questo sia negli Stati Uniti sia in Iran. C’è negli Stati Uniti indubbiamente una componente del Congresso ostile alla definizione dell’accordo e che quindi fa di tutto per rendere difficile il ruolo di Obama nel poter essere credibile di fronte agli iraniani. Ma anche dall’altra parte c’è un insieme di posizioni all’interno, soprattutto dell’industria militare dell’Iran, che non vede di buon occhio l’accordo e che quindi cerca di individuare un meccanismo per rallentarlo o comunque renderlo meno efficace rispetto alla portata che fino ad oggi ci siano aspettati.

D. – Quanto è funzionale l’Iran alla guerra all’autoproclamato Stato islamico, e quanto la comunità internazionale è disposta a cedere sul fronte del nucleare?

R. – L’Iran è in realtà uno dei pochissimi attori – come di dice in gergo – con i “boots on the ground”, ovvero sia che combatte sul terreno le forze dello Stato islamico. Se non fosse stato per l’Iran, probabilmente buona parte della stessa Baghdad sarebbe caduta nelle mani dello Stato islamico nel momento dell’insurrezione e poi della conquista dell’Al-Anbar e delle parti centrali del Paese. Quindi, la rilevanza dell’Iran è senz’altro significativa. Quanto questo possa essere utilizzato come moneta di scambio tra l’Iran e la comunità internazionale è altra faccenda, nel senso che dal punto di vista politico l’Iran non intende concedere spazio di manovra ai sostenitori di una politica cooperativa con l’Occidente nella lotta allo stato islamico, sino a quando non saranno stati compiuti passi concreti e soprattutto progressi sotto il profilo del negoziato. In buona sostanza, quello che la guida tende a limitare è la capacità dei Paesi occidentali di poter chiedere all’Iran un contributo sostanziale in termini operativi contro lo Stato islamico, senza però ricevere dall’altra parte una compensazione politica, economica e tecnologica sotto il profilo del negoziato.

D. – Lei parlava di “forze interne” sia all’Iran sia al Congresso statunitense, contrarie a questo accordo. Ma qual è il ruolo di Israele, in questi negoziati?

R. – Probabilmente, c’è da distinguere tra il ruolo di Israele e il ruolo di Netanyahu. C’è in questo momento, chiaramente, un’azione molto forte per quanto concerne soprattutto l’interesse elettorale che ha spinto anche Netanyahu a portarsi negli Stati Uniti per condurre un’azione mediatica e politica che rischia, però, di essere un boomerang stratosferico, soprattutto nei confronti dei suoi alleati locali, e dall’altra – invece – la posizione del Paese che sicuramente è molto più pragmatica, soprattutto in seno alle forze militari e dell’intelligence, che hanno più volte smentito le affermazioni di Netanyahu, che hanno più volte dimostrato una maggiore cautela nei confronti delle valutazioni sull’Iran e che sembrano, quindi, meno intenzionate a dar vita e a generare un’escalation politica che potrebbe, tuttavia, avere anche ripercussioni dal punto di vista operativo sul terreno.








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