2015-03-04 14:13:00

Ebola, Piano Marshall: Medici con l'Africa-Cuamm, azione coordinata


Se gli sforzi fatti fino a oggi nella lotta all’Ebola hanno contribuito a ridurre il numero di infezioni, adesso è di cruciale importanza eradicare il virus, mantenere il sostegno ai Paesi colpiti per evitare nuovi contagi e favorirne la ripresa economica. È quanto emerso, in sintesi, alla Conferenza di Bruxelles organizzata da Unione Europea, Ecowas (la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale), Unione Africana e Onu, con Liberia, Sierra Leone e Guinea, per fare il punto sull’infezione che ha colpito principalmente i tre Paesi africani. Nell’occasione, il capo di Stato liberiano, Ellen Johnson Sirleaf, ha evocato la possibilità di un "Piano Marshall2 per quanti colpiti dall’epidemia dell’Ebola, che fin qui ha già provocato 9.700 morti accertati. Ce ne parla don Dante Carraro, direttore di "Medici con l’Africa - Cuamm", organizzazione da anni impegnata a Pujehun in Sierra Leone, che ha partecipato ai lavori di Bruxelles. L’intervista è di Giada Aquilino:

R. – Si tratta di Paesi che erano già molto fragili prima dell’Ebola. Ad esempio, la Sierra Leone, dove noi siamo impegnati: nel distretto sanitario dove noi abbiamo iniziato tre anni fa a lavorare, un distretto di 350 mila persone, c’era un solo medico. Quindi, la situazione era così prima dell’Ebola. Poi, è arrivato questo "uragano2 che ha spazzato via persone, servizi, che ha reso più fragile tutto il sistema sanitario, per non parlare del sistema scolastico, per non parlare della protezione sociale e dei tanti orfani e delle vedove che adesso ci sono. Allora, si capisce e si può intuire come: o si interviene in maniera drastica, coordinata e massiccia, con un "Piano Marshall" appunto, o altrimenti è difficile aiutare questi Paesi ad uscire dal dramma, dal cuneo buio dove sono entrati. Da tener presente un altro dato: nel 2013, quindi l’anno prima dell’epidemia di Ebola, la Sierra Leone rispetto all’anno precedente aveva avuto una crescita del Pil dal 10 al 14%. Dopo Ebola, un studio della Banca Mondiale ha dimostrato che c’è un calo del 6% del Pil. E’ facile capire che o tutti i Paesi, la comunità internazionale, gli organismi internazionali, le ong fanno la loro parte in maniera consistente e coordinata, o non se ne viene fuori.

D. – Se gli interventi compiuti hanno contribuito, in parte, a ridurre il numero delle infezioni, adesso va quindi mantenuto il sostegno ai Paesi colpiti. Cosa serve, secondo la vostra esperienza in Sierra Leone?

R. – Non è ancora sparita l’epidemia. Infatti, a Bruxelles il primo punto era proprio intitolato “Getting to Zero”, cioè raggiungere lo zero. Perché, per esempio, la Sierra Leone ha avuto un calo drastico dei casi di Ebola confermati a gennaio, ma le prime settimane di febbraio hanno mostrato una risalita. Quindi, prima cosa è non abbassare la guardia perché l’Ebola c’è, non è ancora stata sconfitta e bisogna sconfiggerla totalmente. Diceva il presidente della Sierra Leone, Ernest Bai Koroma: “Non può essere una semplice vittoria, ma deve essere vittoria totale sull’Ebola”. La seconda è rafforzare il sistema sanitario e questo vuol dire soprattutto formazione del personale locale e quindi di infermieri, di medici che possano poi sostituire anche coloro che purtroppo sono mancati: la Sierra Leone ha avuto 221 morti fra gli operatori sanitari. Quindi, spingere tutte le attività non su sistemi iper-sofisticati, di eccellenza, ma – si diceva a Bruxelles e si è ribadito fortemente – su servizi essenziali alla popolazione, che sono in particolare l’assistenza al parto e l’assistenza ai bambini, che sono le fasce più vulnerabili della popolazione. Questo vuol dire riaprire gli ospedali che sono stati chiusi, per esempio. Poi, la cosa ancora più difficile è creare fiducia: quello che è andato minato – si sottolineava alla conferenza – è la fiducia, che invece la gente deve avere nei confronti di una struttura sanitaria.

D. – Siamo in Quaresima e in questi giorni missionari dalla Sierra Leone e dai Paesi colpiti ci hanno detto che c’è stato chi si è posto il problema della distribuzione delle Ceneri, proprio perché la gente cerca di evitare contatti. Ma c’è un caso particolare che oggi spinge "Medici con l'Africa - Cuamm" a dire: “Ce la possiamo fare”?

R. – Quello che a noi dà fiducia è sentire e percepire costantemente, quotidianamente mi viene proprio da dire, la voglia potente di questa popolazione a venirne fuori. Non più di un mese fa, quando ero in Sierra Leone, il direttore dell’ospedale rurale di Pujehun, dove stiamo lavorando, mi ha detto: “Il fatto che voi siate rimasti, dà forza a noi non solo a rimanere, ma anche a spingere in avanti, perché vogliamo uscire da questa tragedia”.








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