2015-03-07 15:30:00

"Africa, Italia":una mostra a Roma su un passato dimenticato


Un viaggio fotografico nell’Africa che è stata italiana. E’ l’obiettivo della mostra “Africa, Italia”, un racconto fatto di immagini, video e documenti storici per riportare alla luce una pagina dimenticata del nostro passato. Ma non solo. Le fotografie mostrano realtà lontane e sconosciute. L’esposizione è una iniziativa della Società geografica italiana ed è possibile visitarla fino al 24 marzo al museo Palazzo Braschi di Roma. Maria Gabriella Lanza ha intervistato uno dei quattro fotografi e report della mostra Antonio Politano.

R. – Il senso della mostra sta nel suo titolo, queste due parole “Africa, Italia”. Sono alcuni racconti sulle afriche, un tempo, italiane, cioè sui quattro Paesi che sono stati colonie italiane e che in qualche modo sono state un po’ rimosse, dimenticate, e arrivano a volte, drammaticamente, invece, nei nostri schermi o sulle prime pagine dei giornali per fatti tragici come guerre, conflitti e il traffico dei migranti. Mentre l’obiettivo che noi ci siamo posti è quello di mostrare anche altri lati della vita quotidiana, per esempio, di alcuni luoghi: chi lavora nei campi o chi lavora nei bar; la vita sull’altipiano o il paesaggio del Mar Rosso. Dunque, il tentativo di mettere insieme diversi racconti sulle quattro afriche italiane apre una finestra su quella che è stata, un tempo, l’Africa italiana.

D. - Non solo fotografie ma anche video e materiali storici…

R. – Sì e poi ci sono videoinstallazioni molto interessanti che propongono fotografie e video con sonori presi dalla strada, dunque una specie di piccolo documentario fatto di fotografie, suoni, musiche parole e video. E poi ci sono per esempio due interviste a due scrittrici italo-somale: abbiamo posto loro delle domande, attorno all’identità, alla questione del meticciato, ai cosiddetti “italiani brava gente”.

D. – Cosa dobbiamo imparare dal nostro passato che abbiamo dimenticato?

R. – Possiamo imparare rispetto e conoscenza. La conoscenza porta rispetto, porta a sconfiggere i pregiudizi e forse noi dovremmo anche ricordarci, in quanto eredi di quell’Italia che poi andò lì a colonizzare, che dovremmo anche cercare di assistere, aiutare e contribuire allo sviluppo di questi Paesi in maniera più proficua, proprio anche per contribuire a non far partire, per esempio, chi decide di prendere la cosiddetta “via del cammello”, rischiare tutto pur di cambiare vita, di avere un’altra opportunità. Dunque, dobbiamo imparare a convivere, a incontrare. Il viaggio poi è questo: la disponibilità all’ascolto e poi il viaggio è un’esposizione - come spero anche la mostra sia - all’insolito, alla bellezza, alla diversità, all’alterità.








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