2015-03-08 14:09:00

Allarme colera in Mozambico, il racconto di un medico di Msf


In Mozambico è in corso una nuova epidemia di colera. Ad oggi almeno 3.500 i casi registrati. Preoccupa in particolare la situazione nella città di Tete dove il numero dei malati è in rapido aumento. A denunciare il pericolo di un ulteriore peggioramento della situazione è l’organizzazione “Medici senza Frontiere” che collabora con il governo e le autorità locali nel soccorso alla popolazione e nell’opera di prevenzione. A Tete lavora il dottor Ruggero Giuliani. Adriana Masotti lo ha intervistato:

R. – E’ stata colpita prima la città di Moatize, che è una città a 20 km da Tete, e poi successivamente si è spostata a Tete, la capitale della provincia. Ad oggi abbiamo registrato 1.620 casi a Tete e circa 748 a Moatize. Abbiamo, a Tete, in media tra le 70 e le 80 ammissioni al giorno nei centri di trattamento.

D. – Perché questo ritorno del colera e perché proprio a Tete?

R. – In realtà, non è l’unico focolaio nel Paese; a Tete sicuramente le condizioni igienico-sanitarie di una parte della popolazione hanno avuto un ruolo chiave nella diffusione dell’epidemia: ci sono interi quartieri che hanno un difficile accesso all’acqua, hanno poche latrine … Tete è anche una città che ha avuto, negli ultimi anni, una grande esplosione demografica, dovuta proprio all’attività delle miniere. Quindi questo aumento della popolazione con condizioni di vita molto precarie in alcune zone, ha fatto un mix esplosivo.

D. – Che cosa è stato messo a disposizione dallo Stato per far fronte a questa epidemia?

R. – Le attività sono articolate su tre componenti principali. La prima è sicuramente quella dei centro di trattamento. Sono state montate da Medici senza frontiere, insieme al governo e alle autorità locali, questi due centri di trattamento: uno a Moatize, con circa 50 posti letto, e uno a Tete con 150 posti letto. Sono centri ai quali vengono inviati tutti i pazienti che sono affetti dalla malattia. Poi c’è la parte della promozione della salute: quindi dare informazioni alla comunità, per sapere cos’è il colera, come si trasmette, quali sono i sintomi e cosa bisogna fare per prevenire il colera. E la terza parte è quella che, invece, riguarda attività sull’acqua, quindi la potabilizzazione delle acque: in alcuni quartieri le persone non hanno accesso alla rete idrica della città e vanno a prendere l’acqua o al fiume o dai pozzi che hanno scavato, ma che sono poco profondi. Queste sono probabilmente fonti di acqua contaminata e quindi tutti quelli che vanno a prendere l’acqua in questi punti vengono informati sul problema e poi vengono consegnate alle persone soluzioni a base di cloro per potabilizzare l’acqua che viene da queste fonti di acqua contaminata.

D. – A suo parere si sta facendo abbastanza? Ci sarebbe bisogno di più personale, di più risorse?

R. – C’è sicuramente bisogno sia di aumentare le attività di ricerca dei pazienti, perché la città è molto grande e ci sono persone che hanno difficoltà ad accedere alle strutture sanitarie; sicuramente, fornire acqua pulita alle persone è un’attività che potrebbe aiutare a contenere l’epidemia molto più rapidamente, e in questo caso si potrebbe fare di più. Per questo noi ci appelliamo sia alle autorità locali, ma anche – ad esempio – alle compagnie che operano qui e che dispongono di diversi mezzi dal punto di vista logistico.

D. – Come sempre, la malattia è conseguenza di una situazione di povertà e di mancanza di sviluppo …

R. – Questo è chiaro: diciamo che il maggior numero di casi viene dai quartieri più poveri della città. Sono diversi anni che lavoro con Medici senza frontiere, ho lavorato soprattutto nell’area dell’Hiv. L’anno scorso ero in Liberia, a Monrovia, durante il picco dell’epidemia di Ebola: è questa è stata sicuramente un’altra esperienza molto difficile. E adesso sono qui in Mozambico da dicembre e mi trovo oggi ad affrontare l’ennesima epidemia e a cercare di fare il mio meglio, insieme a tutti i membri dell’organizzazione. Purtroppo sì, è amaro constatare che è sempre nelle zone più povere, più dimenticate da noi, dall’Occidente, che succedono queste cose e che molto spesso rimangono sconosciute alla maggior parte della popolazione europea occidentale.

D. – E le energie per andare avanti giorno per giorno, non le mancano: dove le trova?

R. – Le energie … abbiamo fatto di questo tipo di vita una missione e quindi è difficile, ma non sono solo; e diciamo che la nostra specialità è rispondere proprio a queste situazioni di emergenza …








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