2015-03-11 14:31:00

Card Parolin: serve un Ufficio per la mediazione pontificia


Costruire il bene universale della pace chiede alla Santa Sede di essere non solo una “voce critica” di ciò che non va, ma un attore che promuova concretamente la “fraternità” e la “convivenza” tra i popoli attraverso le regole del diritto internazionale. È una delle considerazioni centrali del discorso che il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha tenuto all’Università Gregoriana. Occasione, l’annuale Giornata di studi multidisciplinari dedicata per il 2015 al tema della pace, intesa come “responsabilità umana” e insieme “impegno cristiano”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Anima e ragione, missione e diritto. Si muove sempre su due binari paralleli l’azione diplomatica della Santa Sede. Un principio seguito lungo la storia e nella cronaca dei nostri giorni, sulla cui riva si abbatte l’onda di una “violenza fratricida”, estrema ed estremistica, che “prova disastri umanitari di vaste proporzioni”. A raccontare il funzionamento della diplomazia vaticana, nell’ottica della costruzione della pace, è il suo massimo responsabile, il cardinale Pietro Parolin, che sull’argomento ha tenuto una “lectio magistralis” alla Gregoriana.

Santa Sede e diritto internazionale
Il segretario di Stato ha anzitutto voluto ribadire come il Diritto canonico, che regola tra l’altro la funzione degli “ambasciatori del Papa” nel mondo, non sia mai stato un corpo di norme destinato a ordinare il solo culto religioso, “tentazione”, questa, ha rilevato, che ritorna “in tanti ambienti, anche internazionali”. Al contrario, tale Diritto ha sempre voluto conciliare le “ragioni ecclesiali” della diplomazia vaticana con il “pieno inserimento” di quest’ultima “nelle regole che governano i rapporti internazionali”.

Ecco perché, ha proseguito il cardinale Parolin, la voce del Papa e della Santa Sede ha sempre avuto un chiaro peso specifico in tutti i consessi dove si misurano i rapporti tra le nazioni, in particolare sul tema dei temi, la pace. In merito, la Santa Sede – ha ricordato il segretario di Stato – “opera sullo scenario internazionale non per garantire una generica sicurezza – resa più che mai difficile in questo periodo dalla perdurante instabilità – ma per sostenere un’idea di pace frutto di giusti rapporti, di rispetto delle norme internazionali, di tutela dei diritti umani fondamentali ad iniziare da quelli degli ultimi, i più vulnerabili”.

Più forza a dialogo e negoziati
Diversa, ha rilevato il cardinale Parolin, è invece l’idea di pace sostenuta dal diritto internazionale contemporaneo, dove sia pure tacitamente si mantengono riferimenti alla guerra. “I fatti e le atrocità di questi giorni”, ha osservato, domandano a Stati e istituzioni intergovernative “di operare per prevenire la guerra in ogni sua forma”, dando consistenza “a norme in grado di sviluppare, attualizzare e soprattutto imporre quegli strumenti già previsti dall’ordinamento internazionale per risolvere pacificamente le controversie e scongiurare il ricorso alle armi. Mi riferisco – ha detto il porporato – al dialogo, al negoziato, alla trattativa, alla mediazione, alla conciliazione”.

Inoltre, ha proseguito il segretario di Stato, strumenti normativi sono più che mai necessari per “gestire i conflitti conclusi”, con tutte le loro conseguenze -  dal rientro di profughi e sfollati alla ripresa delle attività politiche ed economiche – pensando in particolare alle “esigenze di riconciliazione tra le parti”, con la tutela del “diritto al ritorno, al ricongiungimento di famiglie”, alla “restituzione dei beni” o al loro “risarcimento”.

Ufficio per la mediazione pontificia
Parlando poi dei temi “caldi” del disarmo, della protezione delle minoranze religiose, tra cui quelle cristiane tra le più perseguitate – e ripetendo che il ricorso alla forza “nel disarmare l’aggressore” deve essere considerato l’“estrema ratio della legittima difesa” – il cardinale Parolin ha lanciato una proposta affinché, così come in passato con Giovanni Paolo II, “nell’opera di riforma avviata dal Santo Padre ritrovi spazio nella Segreteria di Stato un Ufficio per la mediazione pontificia che possa fare da raccordo – ha spiegato – tra quanto sul terreno già svolge la diplomazia della Santa Sede nei diversi Paesi e parimenti collegarsi alle attività che in tale ambito portano avanti le Istituzioni internazionali”.

Lo sviluppo garantisce la pace
La riflessione finale ha riguardato la necessità, per la Santa Sede, di far maturare nelle coscienze, al di là delle regole, il valore rappresentato da “una cultura della pace”, che significa, tra l’altro, comprendere che la prima costruzione e la prima difesa della pace sono legate alla lotta alla “povertà” e al “sottosviluppo”. “Ineguale distribuzione degli alimenti, mancato accesso ai mercati, ingiuste regole imposte al commercio internazionale, mancata coscienza ecologica e danni all’ambiente sono alcuni dei fattori – ha concluso il cardinale Parolin – che domandano un’effettiva solidarietà tra gli Stati, se si vuole garantire un futuro di pace”.








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