2015-03-16 19:00:00

Ue: Siria, Libia, Iraq contro l'Is. Ipotesi negoziati con Assad


Siria, Iraq e Libia al centro oggi del Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione europea, per fare il punto sul contrasto all’avanzata del cosiddetto Stato islamico, che continua a non risparmiare chiese e simboli cristiani. L’ultima denuncia arriva da Fox News e riporta tweet jihadisti con le immagini di statue, icone e pietre tombali distrutte in Iraq. Intanto scoppia il caso Assad, dopo l’ipotesi di negoziati con il regime siriano avanzata ieri dal segretario di Stato Usa Kerry. Il servizio di Gabriella Ceraso:

 

L’Unione europea è pronta ad una missione di sostegno in Libia, di sicurezza o di addestramento, ma non di tipo militare. “In un Paese così complicato sarebbe un errore”, dice il ministro Gentiloni a margine del Consiglio dei colleghi titolari degli Esteri dell’Unione europea, che ha anche valutato l’ipotesi di considerare crimini di guerra le devastazioni archeologiche che i jihadisti dell’Is stanno operando in siti di Iraq e Siria, impegnandosi a prevenire il commercio illegale di opere culturali. Devastazioni che colpiscono anche chiese e simboli cristiani, come mostrano le ultime immagini di Fox News tratte dai tweet jihadisti, con bandiere nere che prendono il posto delle croci. Sul terreno intanto la guerra continua su più fronti. In Iraq, i Peshmerga curdi hanno riconquistato tre villaggi a Nord di Mosul; a Ramadi i raid hanno sterminato oltre cinquanta jihadisti dell’Is che invece resistono, respingendo l’esercito e gli sciiti, a Tikrit. In Libia i miliziani del cosiddetto Stato islamico sembrano avere la meglio: già controllano Derna, Sirte e Nawfaliyah, e oggi hanno rivendicato l'ennesimo attacco, condotto ieri a Tripoli, ad un ceckpoint della polizia, con la morte di un agente e il ferimento di altri 6. Sul fronte siriano intanto cresce la polemica. Turchia e Francia respingono fermamente l’ipotesi ventilata ieri dal segretario di Stato Usa Kerry di un necessario dialogo con Damasco “per cercare una soluzione politica alla guerra civile”. Anche l’Ue frena: occorre coinvolgere tutte le parti e quindi "rappresentanti del regime", ma non il presidente che, "come conseguenza delle sue azioni", dice l' Alto rappresentante della politica estera Mogherini, "non puo' essere un partner nella lotta contro l'Isis". Lo stesso Assad, scettico, oggi ha osservato : aspettiamo le azioni e poi decideremo. 

L’attenzione internazionale ora appare puntata sulle possibilità della diplomazia, con le ultime dichiarazioni di Kerry su Assad. Giada Aquilino ha intervistato Dario Fabbri, consigliere redazionale della rivista di geopolitica ‘Limes’:

R. – Sicuramente, le dichiarazioni di Kerry rappresentano una novità da questo punto di vista, ma dobbiamo inserirle nel contesto. Gli Stati Uniti sono impegnati in questi giorni nel negoziato per il programma nucleare iraniano. Sappiamo che al Assad è uno storico alleato del governo iraniano – anzi il governo iraniano è il "patron" di quello di Damasco – e le dichiarazioni di Kerry vanno anche in questo senso: cioè, proprio mentre vorrebbe chiudere un accordo con l’Iran, Kerry segnala l’intenzione al governo di Teheran di non voler rovesciare – ammesso che gli Stati Uniti abbiano mai avuto questa intenzione, ma meno che mai in questa fase – al Assad. Al di là di ciò, forse un reale cambiamento americano non c’è ancora stato. Da diversi mesi, ormai, la situazione siriana è di fatto congelata proprio perché gli Stati Uniti sono impegnati nel negoziato con l’Iran, che considerano in assoluto la priorità regionale tutto il Medio Oriente, e anche perché c’è stata negli ultimi mesi l’ascesa dello Stato islamico. E' evidente che tra i due mali si sceglie il minore e al Assad rappresenta il male minore.

D. – Se non si può parlare di cambiamento, come possiamo quindi definire le parole di Kerry?

R. – Come una presa di coscienza del fatto che, dopo aver sostenuto almeno nelle primissime fasi della rivoluzione siriana, quindi tra il 2011 e il 2012, l’opposizione in maniera massiccia, poi a Washington ci si è resi conto che dall’opposizione poteva nascere per così dire un male ben maggiore rispetto al sanguinario regime di Damasco, oltre a una formazione come quella dello Stato Islamico, che era già nata ampiamente, con il conseguente caos nel Paese. Quindi, gli americani che vorrebbero invece stabilire un equilibrio nella regione, soprattutto trattando con l’Iran, è inevitabile che considerino anche la possibilità che al Assad almeno tratti per una soluzione. Dico "almeno tratti" perché gli americani vorrebbero comunque sostituirlo con qualcun altro, forse addirittura qualcuno del suo stesso clan, semplicemente per dare l’idea di un cambiamento formale, sebbene non sostanziale. Ma è chiaro che le priorità rispetto al 2011 e al 2012 sono nettamente cambiate.

D. – Di che trattativa si può parlare in questo momento?

R. – Con la collaborazione di Assad non credo si possa arrivare a debellare lo Stato islamico, per il semplice fatto che Stato islamico e al Assad non si sono mai combattuti più di tanto. Ad esempio, il regime di Damasco ha acquistato per moltissimo tempo il petrolio che contrabbandava lo Stato islamico, non solo perché venduto a prezzi nettamente più bassi rispetto a quelli di mercato, ma perché c‘era stata la volontà da parte di Damasco di accrescere le finanze dello Stato islamico per poi aumentarne anche la potenza e mostrarlo al mondo come il "male maggiore". È evidente che lo Stato islamico ha peraltro altri legami, ad esempio quelli con la Turchia, altrettanto forti e se si vuole debellarlo in Siria bisogna convincere ad esempio la Turchia e non tanto al Assad a intervenire sul terreno, a intervenire maggiormente nella guerra. Aggiungiamo a questo che poi decidere della Siria senza avere a che fare ad esempio con la Russia è di fatto impossibile, perché prima parlavamo di Iran come "patron" principale di Damasco, ma lo stesso governo di Mosca è da sempre un alleato di al Assad. Ad esempio, c’è una base navale russa a Tortosa, proprio in Siria, l’unica ufficiale dei russi nel Mediterraneo. E c’è anche la Cina che, sebbene – come spesso capita – con un formato minore, un po’ nell’ombra, ha altrettanto sostenuto fin qui il governo di Damasco.








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