2015-03-18 13:25:00

Progressi in colloqui per Libia: la conferma di Ban Ki-moon


Si registrano progressi nel negoziato per il dialogo in Libia. Li mette in luce il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, incontrando a Roma il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Intanto, 10 persone sono morte nei pressi di Sirte, dove una milizia della coalizione Fajr Libya cerca di allontanare i jihadisti legati al sedicente Stato islamico, che dal mese scorso controllano gli edifici governativi. Le prospettive di un governo di unità nazionale nella riflessione di Paolo Magri, direttore dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale, nell’intervista di Fausta Speranza:

R. – Qualcosa si sta muovendo dopo che la settimana scorsa in Marocco non si erano presentati i rappresentanti di Tripoli e sembrava che tutto si fosse bloccato. Qualcosa sta procedendo. Lo spiraglio sembra essere quello di creare un governo di unità nazionale dando a figure esterne, cioè a libici che hanno lavorato sempre all’estero, per esempio alla Banca mondiale, un ruolo di primo piano nel governo. E con i due governi – Tripoli e Tobruk – che sostengono questo sforzo. La vera domanda, se si raggiungesse questo risultato, è questa: cosa faranno le milizie sul territorio? Una cosa è il dialogo dei diplomatici e degli uomini politici, una cosa è tenere insieme le molte milizie armate della Libia, che sono armate l’una contro l’altra, all’interno delle decisioni di vertice.

D. – Inoltre, Tobruk dell’est della Libia, riconosciuto dalla comunità internazionale, afferma che può anche dialogare con Tripoli, ma non con i miliziani dell’Is che, a suo dire, stanno aumentando in Libia…

R. – Questo è comprensibile. Nessuno vuole dialogare con l’Is, neanche il governo di Tripoli. Il punto è che il governo di Tobruk prende questo elemento – quello di contrastare l’Is – per chiedere armamenti internazionali, ma non c’è nessuna certezza che poi, una volta avuti, non li utilizzi anche contro il governo di Tripoli. Questo è un po’ il gioco. Ricordiamo che le forze dello Stato islamico presenti in Libia – che sono poi gruppi locali che si sono affiliati allo Stato islamico, non sono arrivati dalla Siria e dall’Iraq – non sono molto numerose ma stanno prosperando proprio nell’incertezza di governo che c’è in Libia, che in alcune zone è diventata terra di nessuno.

R. – Noi identifichiamo est, ovest... Ma è difficile parlare della situazione sul campo, visto che le tante tribù dopo la fine del regime di Gheddafi sono anche allo sbando…

R. – È questo il punto centrale. Noi semplifichiamo la realtà “Libia” dicendo che c’è un governo che chiamiamo legittimo – che si autoproclama tale – che è quello di Tobruk. Chiamiamo un governo islamico quello di Tripoli, ma in mezzo ci sono una quantità di milizie: sono quelle di Bengasi e quelle delle varie città, in alcuni casi composte da delinquenti comuni, in altri casi da approfittatori della situazione economica e in altri casi da terroristi che si sono affiliati. Questo gioco delle milizie diffuse sul territorio è il problema profondo della Libia e questa situazione è favorita dal fatto che non ci sia nessuno che pone l’ordine nel Paese, visto che i due governi – legittimi o meno che siano – si stanno contrastando a livello militare.








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