2015-03-20 08:08:00

Lo Stato Islamico rivendica la strage di Tunisi


“La ferma condanna di ogni atto contro la pace e la sacralità della vita umana": lo ribadisce Papa Francesco in un telegramma dopo gli attacchi di Tunisi con cui inoltre si unisce con la preghiera al dolore delle famiglie delle vittime e a all'intero popolo tunisino. Intanto lo Stato Islamico rivendica l’attentato, il cui bilancio si attesta a 23 vittime. Sul fronte delle indagini si segnala l’arresto di 9 persone legate al commando terroristico. Il servizio Marco Guerra:

“Quello a cui avete assistito è solo la prima goccia di pioggia”,  così recita un breve messaggio audio messo in rete ieri pomeriggio dal sedicente Stato Islamico, in cui si parla anche di “decine di crociati e apostati uccisi” e si specifica che l’obiettivo dei terroristi era proprio il museo del Bardo e  non il Parlamento. Infine si fa riferimento ai due attentatori morti nell’attacco descrivendoli “armati di fucili e granate”. Intanto indagini a tutto campo e massimo dispiegamento di forze da parte delle autorità tunisine. Cinque le persone arrestate vicine ai due terroristi uccisi, fra i quali il padre e la sorella di uno dei due, fermati anche altri quattro sostenitori di cellule estremiste.  Secondo l’esecutivo, gli assalitori erano stati addestrati in un campo jihadista in Libia. Dal canto suo, il presidente Beyí Caid Essebsi ha convocato il Consiglio superiore delle forze armate, schierato l’esercito a difesa delle città e dichiarato: “Siamo in guerra”. Solidarietà è stata espressa da tutti i leader occidentali, con Obama che ha offerto aiuto nelle indagini. E l'attacco in Tunisia è al centro del Consiglio Europeo di questa mattina a Bruxelles, quando i 28 affrontano il dossier Libia.

Intanto tra “dolore, sconcerto e umiliazione”,  mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi, continua ad essere vicino ai feriti nei cari ospedali della città, colpiti - ha detto - da un "atto insensato di violenza”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

R. - Prima di tutto vorrei dire che siamo vicini a chi soffre, vicini alle famiglie di coloro che sono morti e a chi è rimasto ferito. Poi vorrei dire che questa non è l’espressione del popolo tunisino che non capisce in queste ore come sia possibile che siano state uccise e ferite delle persone. Il popolo tunisino è un popolo accogliente e buono.

D. – Il Paese sembrava vivere una nuova stagione dopo la “primavera araba”. Questo episodio mette a rischio questo percorso di democrazia?

R. – Il pericolo c’è sempre, perché ci sono molte cellule dell’Is anche qui, anche se non si sa dove siano; però non dobbiamo dimenticare che il popolo tunisino è un popolo di cultura che ama la pace e questo ci dà tanta speranza. La prima reazione è stata quella di manifestare il sostegno al governo e il rifiuto di ciò che è accaduto. La speranza, sempre grande, è  che - prendendo spunto dal passato e da come si sono comportati i tunisini - questa sia una “nuvola molto triste” che è passata e speriamo non ritorni più.

D. – Voi avete paura?

R. – Come Chiesa no, perché fino ad ora noi non abbiamo avuto nessun segno che sia un movimento contro la Chiesa o contro i cristiani. Abbiamo la paura che hanno tutti, quella di trovarci coinvolti perché al posto sbagliato, nel momento sbagliato, ma niente di più.

D. – La prima risposta è stata quella di dire: “La guerra al terrore verrà combattuta senza pietà”, altri hanno sottolineato: “La via da perseguire è quella del dialogo, del confronto. Non bisogna perdere il controllo dei nervi in questo momento”. Cosa ne pensa?

R. – La posizione da seguire è quella del Papa, quando dice che bisogna fermarli, però lasciare le porte aperte al dialogo. Qui è la stessa cosa: non possiamo permettere che facciano quello che vogliono, che terrorizzino la gente. Però credo sia necessario aiutare nella crescita. Per molti anni, al tempo delle dittature, soprattutto quella di Ben Ali, chi andava nelle moschee non era visto di buon occhio. Risultato: oggi c’è un vuoto di valori nei giovani, un vuoto di cultura perché non conoscono bene la storia del loro passato, che è gloriosa e bella, un vuoto religioso. Quando mancano i valori in una persona, il primo che arriva riempie la testa e si corre il rischio di seguire qualcosa di pericoloso e poi si arriva a situazioni che sono inspiegabili. Come adesso in cui ci si pone la domanda di come sia possibile che il popolo tunisino, che è credente, pieno di cultura sia invece quello che ha offerto più combattenti all’Is.

D. – Qual è il vostro impegno come Chiesa sul territorio?

R. – Il nostro impegno è quello di sempre: mostrare attraverso la testimonianza di Cristo i valori umani e sociali che non possono mancare in qualsiasi persona – che sia cristiana o non cristiana - attraverso le nostre scuole, i nostri incontri e le relazioni.

D. – In questo momento ancora di più …

R. – In questo momento di sofferenza la Chiesa deve prendere una posizione molto più forte e la convinzione che abbiamo da fare un lavoro in profondità più grande, iniziando dai nostri cristiani che hanno un contatto diretto con il popolo tunisino.

D. – Vuole lanciare un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana?

R. – Prima di tutto non fare di tutta un’erba un fascio: la Tunisia è un popolo islamico – è vero - un popolo musulmano, però non sono tutti terroristi. La Tunisia soffre moltissimo per questa situazione e farà di tutto per uscire. Le speranze che noi abbiamo, anche con un po’ di tremore, sono di pace e di un futuro che può essere ancora tranquillo per la Tunisia.

 

 

 

 

 

 








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