2015-03-27 14:33:00

Nigeria al voto: pesa l’incognita Boko Haram


Archiviata la campagna elettorale, chiuse le frontiere terrestri e marittime, la Nigeria si prepara in un clima massima sorveglianza alle elezioni presidenziali e legislative di domani. Sul voto, pesa la minaccia terroristica degli estremisti islamici di Boko Haram, la cui violenza ha già provocato un migliaio di morti dall’inizio dell’anno e circa un milione tra sfollati interni e profughi rifugiatisi nei Paesi limitrofi. Mentre oltre 68 milioni di persone si preparano a votare, prosegue l’offensiva dell’esercito contro i miliziani: appoggiato da truppe di Ciad e Niger, ha riconquistato la città di Gwoza, nel nord est. I due principali candidati per la sfida presidenziale sono il capo di Stato uscente Goodluck Jonathan e l’ex generale Muhammadu Buhari, a capo di una giunta militare negli anni ’80. Entrambi, nel corso di un incontro interreligioso a Sokoto, alla presenza del cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, e dei principali leader musulmani nazionali, si sono impegnati al rispetto della calma durante le consultazioni e dell’esito del voto. Per un panorama elettorale in vista dell’appuntamento di domani, Giada Aquilino ha sentito Vincenzo Giardina, africanista dell’agenzia missionaria Misna:

R. - Sicuramente il voto è stato condizionato dalla crisi legata a Boko Haram. Se non fosse perché le elezioni si dovevano originariamente tenere il 14 febbraio e sono state posticipate di sei settimane, per garantire quelle condizioni di sicurezza minime che l’espansione del cosiddetto Califfato di Boko Haram aveva minato nei mesi precedenti.

D. – E’ stata riconquistata Gwoza. L’offensiva dell’esercito va avanti?

R. – Gwoza è l’autoproclamata capitale del cosiddetto Califfato di Boko Haram, quindi è considerata la roccaforte principale. Lì peraltro, secondo notizie delle ultime settimane, parte dei combattenti di Boko Haram si era diretta, a seguito della perdita dei centri in precedenza occupati, annunciata dalle forze armate nigeriane e dai contingenti ciadiani e nigerini che stanno partecipando alle operazioni militari nel nord est della Nigeria. Un elemento caratteristico delle ultime settimane è proprio questa avanzata, sulla quale peraltro è molto difficile avere riscontri indipendenti e ciò a conferma di una situazione difficilmente verificabile rispetto all’andamento delle operazioni militari. L’altro elemento significativo, che fonti della Misna hanno messo in evidenza negli ultimi tempi, è che il prolungamento della campagna elettorale sembra avere in qualche misura messo particolarmente a dura prova, da un punto di vista finanziario, la campagna dell’Apc, cioè l’alleanza di opposizione che candida l’ex presidente e generale in pensione Muhammadu Buhari, il principale sfidante di Goodluck Jonathan.

D. – Sia Goodluck Jonathan, sia Muhammadu Buhari non sono personaggi nuovi alla politica: uno è il presidente uscente, l’altro è stato a capo della giunta militare negli anni ’80. Si sono già affrontati peraltro nel 2011. Cosa possono offrire al Paese?

R. – Comincio citando un titolo del settimanale britannico ‘The Economist’: “È meglio un dittatore, che un presidente fallito”. Questa era la presa di posizione del giornale un mese fa e l’ex dittatore è Buhari, al potere tra il 1983 e il 1985. È salito al potere con un colpo di Stato, ricordato per la sua ‘guerra all’indisciplina’: un pacchetto di misure controverse che alla lotta inflessibile contro la corruzione – male antico della Nigeria – affiancava però altre misure, dalla deportazione di lavoratori migranti, a divieti di importazione di beni di prima necessità, che da un punto di vista economico ebbero un esito quanto meno controverso. Il presidente fallito, stando all’‘Economist’, è Jonathan perché lo Stato - nonostante 4 dei 5 anni di governo del presidente siano stati caratterizzati da prezzi del petrolio molto alti e il petrolio valga più del 70% delle entrate dello Stato nigeriano –non ha messo da parte quasi nulla. E poi l’altro dato è quello di Boko Haram: Boko Haram dal 2009 ha cominciato ad intensificare la sua campagna di violenza; di fatto, poche settimane fa, prima del rinvio delle elezioni del 14 febbraio, il cosiddetto Califfato di Boko Haram era esteso su una superficie paragonabile a quella del Belgio, quindi si è mangiato un pezzo di Nigeria. Senza contare poi gli attentati contro chiese, contro luoghi di culto, anche dell’Islam: penso al terribile attentato di dicembre, quando ci furono più di 100 morti nella moschea di Kano, la principale città del nord della Nigeria.

D. – A partire dalla sicurezza, quali sono le emergenze da affrontare subito?

R. – C’è il tema dello sviluppo economico, nel senso che la Nigeria ha, secondo dati diffusi a livello internazionale, il 70% della popolazione che vive in condizioni di povertà. Eppure è l’ottavo produttore mondiale di petrolio. Il nemico che viene da tutti indicato come responsabile di questa situazione è una classe politica incapace di guardare all’interesse generale. Noi, come Misna, abbiamo parlato con mons. Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, che ha partecipato alla cerimonia per la firma di un accordo di pace tra Buhari e Jonathan per elezioni libere, pacifiche e trasparenti. E il vescovo Kukah esprimeva speranza che anche grazie all’espressione di vicinanza e di solidarietà da parte della comunità internazionale – penso allo stesso Pontefice, al messaggio che ha inviato ai vescovi nigeriani – questa volta in Nigeria le cose vadano bene, diversamente, rispetto a quattro anni fa, quando nel 2011 ci furono più di 800 morti pochi giorni dopo le ultime elezioni.








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