2015-03-28 12:00:00

All'Onu il grido di cristiani e altre minoranze perseguitate


Il grido dei cristiani e delle altre minoranze in Medio Oriente è risuonato ieri al Consiglio di Sicurezza dell'Onu per la prima volta da quando sono iniziate le violenze dei miliziani del cosidetto Stato Islamico. "Le atrocità commesse contro le minoranze dall'Is - ha detto il segretario generale Ban Ki-moon - richiedono una risposta urgente, occorre porre fine all'impunità”. "La primavera araba – ha detto intervenendo il patriarca caldeo Louis Raphael Sako – ha avuto conseguenze dannose per i cristiani”. Il servizio da New York di Elena Molinari:

Un piano d’azione per la prevenzione dell’estremismo violento e la protezione delle minoranze in Medio Oriente. “Lo presenteranno le Nazioni Unite a settembre”, ha detto ieri il segretario generale Ban ki-Moon, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza Onu sulle persecuzioni dei cristiani. All’incontro il patriarca caldeo di Baghdad ha affermato che la primavera araba ha danneggiato i cristiani: “Stiamo vivendo una situazione catastrofica che spinge molte famiglie alla fuga”, ha detto Sako. A testimoniarlo è stata anche Vian Dakhil, la parlamentare irachena che lo scorso agosto raccontò gli orrori dell’attacco subito dalla minoranza yazida da parte dell’Is: “Tremila ragazze sono state vendute a 18 dollari l’una dai jihadisti”, ha denunciato. Il ministro degli Esteri francese Fabius ha sottolineato il rischio che le minoranze religiose scompaiano dal Medio Oriente. E l’ambasciatore italiano Cardi ha assicurato l’impegno dell’Italia nell’assistenza sanitaria e psicologica, nella ricostruzione delle scuole, nel reinserimento educativo e sociale a favore dei cristiani in Iraq.

Dell'importanza del dibattito all'Onu e delle prossibile vie di azione, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle Relazioni internazionali all'Università del Salento:

R. - Molte delle minoranze sono state attaccate o dalle maggioranze o da gruppi radicali, e questo nel totale silenzio del mondo e della comunità internazionale. È una questione sì etnica, ma io sottolineerei che è questione religiosa. Fino a pochi anni fa, nonostante la presenza di regimi estremamente dittatoriali, molte delle minoranze erano relativamente salvaguardate e comunque non attaccate: penso al caso dell’Iraq, penso al caso della Siria, in cui,  pur con tutti i problemi gravi di un sistema totalmente sanguinario, le Chiese non venivano toccate, le sinagoghe non venivano toccate e lo stesso vale per i fedeli delle minoranze religiose. In questo momento di totale squilibrio della situazione internazionale, soprattutto nell’area mediorientale, i primi che ne pagano le conseguenze sono quanti sono facilmente identificabili da qualche luogo di ritrovo, di preghiera, che può essere una sinagoga o una vecchia chiesa. Gli attacchi dell’Is non sono soltanto nei confronti di musei, e quindi della presunta idolatrìa delle religioni antiche, presenti in quei territori, ma - non dimentichiamolo - vengono fatte saltare in arie anche molte, molte chiese.

D. – Che fare? Sicuramente assicurare sostegno umanitario, in particolare ai rifugiati …

R. – È molto complicato trovare una soluzione a questo problema, perché innanzitutto bisognerebbe sapere con chi trattare… Mi spiego: se si potesse trattare con regimi totalmente democratici o in Stati che sono pacificati, si potrebbe trovare una soluzione nel contenere la fuga di queste persone. È comprensibile che le persone fuggano da queste aree, perché o sono perseguitate per ragioni politiche o per ragioni sia etniche che religiose: quindi è estremamente complicato evitare le fughe. Importante è che l’Onu, su iniziativa di una nazione forte come la Francia, abbia cominciato a far sentire la propria voce: questo è sicuramente un segnale positivo.

D. – Qualcosa da cui cominciare è, per esempio, il traffico di armi…

R. – Ecco, questa era una delle prime cose cui pensavo: la creazione di una rete internazionale di protezione dovrebbe partire anche – mi piacerebbe dire – dal divieto di vendita di armi, ma visto che è purtroppo utopistico, in ogni caso si deve tentare da parte dei governi, soprattutto quelli occidentali, una limitazione nella vendita o un controllo sulle armi che vengono vendute: questo potrebbe essere un primissimo passo verso una possibile soluzione.

D. – Il contesto è quello del Medio Oriente, quindi - sappiamo bene - di grandissima tensione e anche confusione: ma perché sono colpite le minoranze?

R. – Ricordiamo che l’insorgere di un gruppo radicale come l’Is è determinato soprattutto da una guerra civile – chiamiamola così – all’interno del mondo musulmano, in cui un gruppo tenta di prevalere su un altro nel rispetto dell’ortodossia. E questo vuol dire anche colpire, far vedere che si è in grado di colpire, quelli che sono da sempre – naturalmente secondo i loro canoni e le loro visioni – i nemici, gli apostati, le persone che non si vogliono convertire: quindi i cosiddetti crociati, gli ebrei, etc. Ciò naturalmente, in questo momento di instabilità, ha esasperato le parti in causa. Io però al Medio Oriente vorrei aggiungere anche un’altra area che purtroppo viene sempre più trascurata ed è l’Africa: ci sono zone dell’Africa in cui i gruppi radicali si stanno radicando sempre di più, stanno avendo sempre più potere, stanno facendo sempre più proseliti, anche con la forza. Il caso di Boko Haram è naturalmente la punta dell’iceberg e anche questo è un argomento che molte volte viene trascurato.








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