2015-03-31 12:38:00

Chiudono Ospedali giudiziari. "Antigone": misura di civiltà


Dopo anni di dibattiti, oggi è prevista formalmente la chiusura dei sei Ospedali psichiatrici gudiziari italiani (Opg). Sono alcune centinaia i pazienti presenti ancora in tali strutture che gradualmente potranno essere dimessi e ricevere un progetto terapeutico riabilitativo individuale. Anna Zizzi ha intervistato il presidente dell’Associazione "Antigone", Patrizio Gonnella:

R.  Un tempo questi luoghi erano, in modo anche più esplicito, chiamati manicomi criminali. Poi, a un certo punto, ci siamo lavati la coscienza e li abbiamo chiamati ospedali, ma abbiamo lasciato le persone comunque nella stessa condizione. Per tanti anni ne abbiamo raccontato le storie: persone dimenticate in luoghi dove erano costrette a passare una vita anche per aver fatto solamente un reato di furto in un supermercato… Dieci, venti anni in condizioni igienico-sanitarie terribili, internati, legati ai letti e sedati. Oggi, finalmente, siamo arrivati a un cambio di rotta e quindi dobbiamo essere orgogliosi di un Paese che ha deciso di fare un cambiamento importante. Non si può trattare una persona con problemi sanitari come se fosse un detenuto comune.

D. – La Legge 81 del 2014 ha previsto che agli Opg subentrassero le "Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza" (Rems). Cosa cambia?

R. – Dovrebbero essere – nell’intenzione di chi le ha previste – più piccoline, dovrebbero avere non più di venti persone. Quindi, da questo punto di vista, essendo più piccoli i luoghi potranno offrire un trattamento più facile da investire in risorse tali da poter garantire una vita comunitaria degna di questo nome, un maggiore impegno socioeducativo: insegnare un lavoro, un’attività, insegnare a certe persone a sopravvivere, cosa che negli Opg si erano dimenticati.

D. – La stessa legge prevede un percorso terapeutico individuale da offrire al paziente, in modo che non si possa ritenere qualcuno socialmente pericoloso solo per le condizioni economico sociali…

R. – Questo è un passaggio fondamentale. La cosa più incredibile è che siamo stati costretti a scrivere in una legge che la povertà non è una condizione di pericolo. Essere poveri non significa essere pericolosi. Vuol dire che per venti, trenta, quarant'anni abbiamo trattato la povertà come fosse un pericolo. Non dobbiamo trattare i poveri come se fossero dei criminali. Nell’Opg di Aversa, ad esempio, c’erano 96 persone: di quelle 96 persone se ne possono contare una decina che possono essere definite socialmente pericolose perché hanno compiuto seri reati contro la persona. Tutti gli altri erano reati di minima gravità. Se fossero stati presi in cura dalle Asl, dai Servizi di salute mentale, dal territorio, dalla comunità, non sarebbero mai finiti in un Opg. Per esempio, un ragazzo che sta dentro da otto anni per resistenza a pubblico ufficiale, cioè fermato in quanto era andato in escandescenza, ha reagito senza fare chi sa cosa lla polizia che lo fermato e dal 2007 è nell’Opg.








All the contents on this site are copyrighted ©.