2015-04-03 08:36:00

Attacco al Shabaab in Kenya: 147 morti in un'università


Orrore in Kenya gli estremisti somali di al Shabaab ieri hanno attaccato un campus universitario di Garissa, nell'est del Paese 147 i morti alcuni decapitati, uccisi 4 assalitori, un ottantina i feriti. Circa 150 sarebbero stati presi in ostaggio. Sentiamo Giulio Albanese:

Imposto il coprifuoco a Garissa dal tramonto all’alba, potenziate le misure di sicurezza. Il timore dei cristiani nelle parole di padre Nicolas Mutua, parroco a Garissa intervistato da Linda Bordoni:

R. - Yes, you know, I …

Sì, come lei sa, me lo aspettavo, perché eravamo stati minacciati. Era stato detto di fare attenzione, perché lo avrebbero attuato e il termine è stato ieri. Siamo andati stazioni di polizia per dare gli orari delle messe, perché normalmente ci viene fornita una sicurezza nelle chiese per la nostra protezione personale durante la messa. Normalmente noi siamo protetti ogni volta che c’è una messa: non possiamo celebrare senza avere una protezione personale intorno, perché arrivano mentre noi siamo in Chiesa. Non sono tranquillo, quando lavoro,  perché non so cosa potrà succedere. E non solo perché sono un cristiano, ma anche soltanto perché condanno questo atto. Ci sono alcuni miei colleghi ed amici che sono anche musulmani che sono morti: sono stati uccisi,  perché hanno denunciato e hanno parlato di quanto stesse succedendo e niente è stato fatto. Non si può uccidere in nome di Dio.

Sui motivi di questo nuovo attacco al Kenya, Giada Aquilino ha intervistato Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali (Cesi):

R. – Per gli Shabaab il Kenya ormai è diventato un territorio strategico dell’offensiva di matrice jihadista nella regione del Corno d’Africa. Le ragioni dell’attacco al popoloso Paese africano sono sostanzialmente di ordine politico e militare. Quello militare attiene all’avanzata che Amisom - la missione internazionale dell’Unione Africana - sta portando avanti in Somalia e che quindi costringe al Shabaab a perdere alcuni luoghi strategici, alcuni snodi vitali sul territorio somalo e ad estendere la sua azione al di fuori dei confini della Somalia. Quello politico riguarda il fatto che al Shabaab ormai da alcuni anni non è più soltanto una realtà somala, ma una realtà maturamente jihadista internazionale e che quindi cerca di colpire territori in tutto il Corno d’Africa e di portare un’agenda internazionale del jihad.

D. – Gli attacchi degli Shabaab non sono purtroppo una novità in Kenya. Nel 2013 il sanguinoso attentato ad uno dei Centri commerciali di Nairobi, ora un campus a Garissa. A cosa puntano quindi gli estremisti islamici?

R. – Puntano alla destabilizzazione del Kenya, che è uno dei Paesi che più si è impegnato nella lotta e nel contrasto al terrorismo jihadista nel Corno d’Africa. Tuttavia è un Paese che vive equilibri etnico-religiosi molto fragili e una situazione economica precaria. L’agenda di al Shabaab è quella di cooptare le esigenze delle fasce più deboli e più esposte ed utilizzarle contro il governo keniota come strumento di pressione politica. Non dimentichiamo che le fasce settentrionali del Kenya ospitano nutrite rappresentanze somale: quindi c’è la possibilità di sfruttare un network tribale consolidato, nel tentativo di imitare o comunque di puntare alla ‘territorializzazione’ del movimento. L’idea del Califfato di creare delle realtà statali o parastatali jihadiste è diventata il nuovo obiettivo che accomuna movimenti anche geograficamente molto lontani. In questo momento al Shabaab non ha dichiarato affiliazione ufficiale allo Stato Islamico: fa parte del network di al Qaeda, però non è da escludere che per rilanciare la propria immagine e il proprio ‘appeal’ magari una delle fazioni di al Shabaab decida di cambiare rotta e di dichiararsi fedele allo Stato Islamico, per tentare di rinvigorire i propri ranghi ed i propri obiettivi politici e militari.

D. – Ha fatto cenno al quadro del Kenya. La situazione in Somalia oggi qual è?

R. – La Somalia è oggi un Paese che cerca faticosamente di ricostruire se stesso. Ci sono finalmente un governo e una presidenza della Repubblica che in un certo qual modo sono più o meno rappresentativi di alcune realtà tribali e della volontà del popolo. A Mogadiscio si cerca difficilmente di vivere con normalità, anche se gli attacchi appunto degli Shabaab sono quotidiani. Nel resto del Paese è in corso una guerra silenziosa, perché non ha in molti casi l’attenzione dei media rispetto ad altri teatri che vivono situazioni identiche. Ed è un Paese che ha bisogno del sostegno politico innanzitutto della comunità internazionale, per tornare a pieno titolo all’interno delle relazioni internazionali, dopo oltre 20 anni in cui è stato definito purtroppo uno Stato fallito, un buco nero geopolitico, nel quale sono proliferati terrorismo islamico, pirateria ed altri fenomeni di instabilità.








All the contents on this site are copyrighted ©.