2015-04-12 13:00:00

Elezioni in Sudan, ma le opposizioni boicottano il voto


Da domani a mercoledì urne aperte in Sudan per le elezioni presidenziali e parlamentari. A causa del boicottaggio delle opposizioni, non si tratta di una vera sfida per il presidente Omar Hassan al-Bashir, salito al potere con un golpe nel 1989 e sul quale pende un’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità nel conflitto del Darfur, che ha puntato tutto su legami più stretti con i Paesi del Golfo e sulla propria immagine di guida salda, capace di evitare al Sudan di diventare come la Libia o la Siria. Al microfono di Roberta Barbi, il giornalista di Nigrizia, Raffaello Zordan, ci aiuta a capire in quale clima si svolge questa tornata elettorale:

R. - Il voto presidenziale e legislativo che si tiene in Sudan trova un Paese profondamente diviso. In realtà questo è un voto che vuole solo il partito di governo, del suo presidente, cioè il partito del Congresso nazionale. Questo voto mette i bastoni tra le ruote a un dialogo costituzionale che si sta tentando faticosamente di aprire, un dialogo che vede coinvolte tutte le forze dell’opposizione. L’obiettivo del regime è quello di legittimarsi all’interno di un percorso di transizione che dovrebbe prevedere il voto non a metà o all’inizio, ma alla fine di un dialogo, di una discussione.

D. – Il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha detto ufficialmente che l’Unione non appoggerà le elezioni perché poco attendibili. Per tutta risposta, il ministro degli Esteri sudanese ha convocato il rappresentante Ue a Khartoum…

R. – Se l’Europa fa queste dichiarazioni e poi le mantiene, questo è importante perché potrebbe succedere che questo voto, sì ci sarà, voterà una percentuale minima di persone, verrà legittimato questo governo, ma di fatto diventa una cosa marginale e si riprende la discussione. È chiaro che l’Europa non può accettare che, mentre è in corso un tentativo di trovare una via maestra per pacificare questo Paese, si vada avanti in un’altra direzione.

D. – Con l’avvicinarsi delle elezioni – lo ha rilevato anche un rapporto di Amnesty International – in Sudan si sono moltiplicati gli attacchi alla libertà di stampa e di manifestazione e sono stati approvati emendamenti costituzionali che accentrano sempre di più il potere nelle mani del presidente...

R. – Questo è vero, perché soprattutto nelle città, comporta il fatto che si stia arrivando al voto senza che ci sia un dibattito adeguato. Già, nelle situazioni complesse, come quella sudanese, è difficile che il cittadino comune entri nel merito delle questioni politiche. Ma se gli si toglie la possibilità di informarsi, si toglie la possibilità di poter dibattere e di potersi riunire, perché nell’ultimo anno sono stati chiusi anche vari centri culturali, anche centri culturali vicini al regime che però probabilmente non erano proprio in sintonia totale con al-Bashir.

D. – Con il boicottaggio da parte della coalizione delle opposizioni, al-Bashir è destinato a essere riconfermato. Questo cosa comporterà per un Paese in cui la pace e un processo politico inclusivo sono ancora lontani?

R. – Al-Bashir, naturalmente, gioca questa carta perché potrà comunque dire sui tavoli di trattative, che non potrà non tenere aperti, che lui è stato legittimato per altri cinque anni. Credo che questa partita vada inserita in un ragionamento un po’ più generale, che le carte da giocare siano le aree di conflitto, si chiudano le ostilità e ci sia l’accesso umanitario. E soprattutto si cominci a discutere di che grado di autonomia possono avere le varie regioni, a partire dal Nilo Azzurro, dal Sud Kordofan e Darfur. A meno che non si voglia leggere tutto questo, anche il voto, dentro un progetto di al-Bashir rivolto un po’ all’area. Ci sono documenti che dicono che il Sudan sostenga l’islamismo sia nella Repubblica centroafricana sia in Libia.








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