2015-04-14 13:00:00

Il card. Nichols tra i cristiani iracheni profughi a Erbil


Una serie di attentati compiuti ieri nella capitale Baghdad hanno causato la morte di 20 persone e il ferimento di altre 40. Una delle azioni terroristiche è stata compiuta nel parcheggio di un ospedale.

Intanto a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, vivono i profughi cristiani costretti nei mesi scorsi alla fuga dall’avanzata del cosiddetto Stato islamico. Oltre 120 mila uomini, donne e bambini. Da Erbil è appena tornato l’arcivescovo di Westminster, presidente dei vescovi di Inghilterra e Galles, il cardinale Vincent Nichols. Il suo racconto al microfono di Philippa Hitchen:   

R. – I came to Erbil on Saturday afternoon and since…
Sono arrivato a Erbil sabato pomeriggio e da quando siamo arrivati abbiamo cercato di capire in particolar modo come le Chiese si siano impegnate a far fronte all’incredibile emergenza dalla quale sono state travolte a metà agosto dell’anno scorso – quando 120 mila rifugiati, sostanzialmente sfollati interni, sono arrivati da un giorno all’altro – e il lavoro che hanno fatto con l’aiuto di donatori del Kurdistan e di Baghdad per dare a queste persone una stabilità almeno temporanea.

D. – Quali sono al momento le urgenze prioritarie? Come possiamo aiutare questi rifugiati?

R. – Well, I think one of the greatest characteristics…
Una delle cose che ho imparato è che l’aiuto deve essere dato in modo tale da non ferire la dignità delle persone sfollate. Quindi, lo scopo dell’aiuto non è quello di rendere queste persone “dipendenti”, quanto piuttosto quello di aiutarle a superare esperienze traumatiche – soprattutto gli uomini, i padri di famiglia che dicono: “Cosa possiamo fare, noi? Qual è il nostro ruolo, oggi, senza lavoro?”. E’ necessario incoraggiarli ad assumere nuove responsabilità e riprendere a programmare il futuro.

D. – Quale tipo disperanza si può dare loro? Potranno mai tornare a casa? Perché è questo, quello che loro vogliono…
R. – This is a very complicated question, and it’s not going…

Questa è una questione molto complicata, perché non sarà facile. Ovviamente, molti di loro vengono dai villaggi della Piana di Ninive che prima di tutto deve essere liberata dal controllo dell’Is. Poi, i villaggi e parte del territorio intorno a Mosul e la città stessa devono essere messi in sicurezza, perché a quanto abbiamo saputo sono stati disseminati di mine antiuomo e quindi non si può semplicemente “tornare”. Poi, è necessario istituire quegli elementi che rendono una società “stabile”, come riportare uno stato di diritto e un modello di giustizia in cui la gente può avere fiducia. Il quarto elemento è la coesione sociale: dare alle persone una possibilità di tornare a “vivere insieme”, come avevano fatto in passato. Ora, però, devono intanto superare la pena e il terrore di quanto è avvenuto in questi eventi traumatizzanti. Loro sanno che è un’opera lunga, ma la gente con cui ho parlato è determinata e speranzosa e crede che, con il tempo, questi risultati possano essere raggiunti.








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