2015-04-15 14:11:00

Emergenza sbarchi. Caritas: mettere in campo tutte le forze


Con il miglioramento delle condizioni meteo, non si ferma il massiccio afflusso di migranti sulle coste del Sud Italia. Oltre 400 quelli giunti stamani a Lampedusa ai quali si aggiungo i circa 10mila tratti in salvo nei giorni scorsi e approdati in diverse regioni. E ancora non si hanno riscontri sulle 400 vittime di un naufragio che sarebbe avvenuto nel Canale di Sicilia, secondo quanto riportano le testimonianze dei superstiti sbarcati in Calabria. Intanto sale il grido di allarme dei sindaci e degli amministratori locali italiani, dopo la circolare del ministero dell’Interno che chiede ai prefetti di individuare altre strutture di accoglienza,  per un totale di 6.500 posti letto, al fine di far fronte ai nuovi sbarchi. Per un punto della situazione sull’emergenza umanitaria Marco Guerra ha intervistato Olivero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana:

R. – La situazione è molto grave. Sta accadendo quello che era stato previsto sia dal governo, ma anche dalle organizzazioni. Sapevamo che con l’arrivo della buona stagione sarebbero aumentati gli sbarchi sulle nostre coste, e questo in maniera assolutamente puntuale si sta verificando. I numeri, però, evidentemente sono anche più importanti rispetto a quelli dello scorso anno. Abbiamo un sistema di accoglienza che attualmente possiamo dire essere già pieno, perché abbiamo ancora le persone che sono giunte durante il 2014; abbiamo una procedura per il riconoscimento di una qualche forma di status ancora troppo lenta e quindi non in grado di svuotare questi Centri: le persone, infatti, devono giustamente rimanere finché non verrà loro riconosciuto un qualche status. Questo, quindi, comporta delle scelte, come sono state fatte dal governo solo nelle giornate di ieri e dell’altro ieri, di chiedere ulteriori posti. La questione, però, è che c’è evidentemente anche una capienza limitata che deve fare i conti, peraltro, con una mancata collaborazione – in molti casi – da parte di diversi Comuni che, a detta loro, non vogliono collaborare in questa operazione che ha un carattere squisitamente umanitario. Noi siamo consapevoli del fatto che la presenza sul territorio di numeri crescenti di persone, che hanno bisogno comunque di un sostegno, possa apparire di per sé come un grande vincolo; però c’è da dire che o questa grande sfida si affronta tutti insieme, o altrimenti il rischio aumenta prepotentemente. Mi riferisco in particolare alle regioni del Nord d'Italia che percentualmente stanno accogliendo in numeri sicuramente non paragonabili a quello che vediamo nel Sud del nostro Paese.

D. – Quindi, è giusto l’appello del Viminale ai prefetti e agli amministratori locali, affinché si trovino spazi per i profughi e i migranti che continuano ad arrivare sulle nostre coste?

R. – E’ evidente! Il Viminale deve e può muoversi attraverso chi lo rappresenta sul territorio, quindi i prefetti; però è chiaro che anche i prefetti hanno bisogno di una attiva collaborazione da parte dei Comuni perché – ripeto – poi, l’accoglienza avviene sul territorio e non si può immaginare che il terzo settore – penso alla Caritas, ma non solo – riesca o riuscirà a supplire a quello che invece è un bisogno che può essere affrontato solo da uno Stato in  quanto tale. Quindi, bisogna mettere in campo tutte le forze veramente in grado di garantire a queste persone un’accoglienza dignitosa.

D. – Prima dell’accoglienza c’è la fase del passaggio nel Canale di Sicilia che con il passaggio da “Mare Nostrum” a “Triton” sembra cambiato ben poco, e continua a essere una tomba, questo tratto di Mediterraneo …

R. – Diciamo che è cambiato molto e in peggio, come avevamo denunciato all’indomani della scelta di chiudere “Mare Nostrum”. Guardi, la questione è abbastanza semplice. “Mare Nostrum” è stato chiuso perché soprattutto da parte di alcuni Paesi europei era stata espressa la preoccupazione per il fatto che “Mare Nostrum” potesse costituire un fattore d’attrazione, cioè: sapendo che esisteva “Mare Nostrum”, i migranti si mettevano in mare. Si è passati per questo all’operazione “Triton” che evidentemente ha smentito questa sostanziale considerazione che è stata fatta, perché non solo gli arrivi in Italia stanno aumentando ma mancando il dispositivo di soccorso in mare così come previsto da “Mare Nostrum”, stanno aumentando in numero molto alto, in numero significativo anche i morti in mare. Quindi la richiesta è veramente di tornare a un dispositivo come “Mare Nostrum” che almeno dava maggiori garanzie per chi arrivava e quindi meno morti in mare.

D. – L’Europa non riesce ad attuare nessun’altra strategia se non quella del controllo delle coste; non può chiedere accordi con i Paesi da cui arrivano queste persone?

R. – La questione è molto complicata, anche perché come si fa a fare un accordo con Paesi nei quali mancano i requisiti minimi, spesso mancano anche proprio i governi con cui poter firmare un accordo? Quindi, ci troviamo in un contesto di grave conflitto da un lato e di forte instabilità sociale, economica, politica: questo è il dato di fatto che richiederebbe non solo un’attenta politica di gestione dei flussi migratori, ma ancor prima un’attenta politica internazionale che dovrebbe vedere l’Europa in prima linea nel definire tutte quelle strategie utili affinché le persone possano arrivare in Europa in sicurezza e – cosa che però fa parte, mi passi il termine, del mondo dei sogni – far sì che queste persone possano scegliere anche di non partire.








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