2015-04-15 14:37:00

Card. Montenegro: chi chiude a immigrati è fuori dalla storia


Il massiccio flusso migratorio che in questi giorni ha raggiunto le coste del Sud Italia è seguito con la massima attenzione da parte della Chiesa Italiana, come sempre in prima linea sul fronte dell’accoglienza. Ma sono tante le resistenze espresse dalle amministrazioni locali, che affermano di non poter fare ulteriori sforzi per accogliere i migranti. Marco Guerra ha raccolto il commento del cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione per le migrazioni della CEI e della Fondazione Migrantes:

R. – Noi sapevamo che doveva continuare e che doveva accadere e sapevamo anche che, così come era stato impostato "Triton", non si sarebbe trovata una soluzione. E’ chiaro che non possiamo sperare che i flussi finiscano perché la realtà in terra africana è una realtà di grande sofferenza, di guerra, di persecuzione… E quindi la gente scappa, come siamo scappati noi quando la fame era diventata grande e quando non riuscivamo a sopravvivere. Ecco, noi continuiamo a commentare questi fatti e ci meravigliamo e ci scandalizziamo che succedano questi eventi tristi. Però, siamo anche un po’ responsabili perché se la politica italiana, e quella europea soprattutto, non sceglie di affrontare il problema come si deve, noi continueremo a piangere e a vedere continuare i morti, mentre saremo solo spettatori passivi.

D.  – Purtroppo, si registrano anche tante resistenze da parte di amministratori pubblici per quanto riguarda l’accoglienza di questi migranti che arrivano. Eminenza, lei che sta in Sicilia come sta osservando questo fenomeno?

R. – La Sicilia è la regione che ospita più immigrati e quindi siamo i primi in classifica. Pur avendo i nostri problemi, siamo quelli che accogliamo. E’ chiaro che la gente non batte le mani, davanti a certe situazioni chiede soluzioni possibili. Che alcuni amministratori vogliano chiudere, non vogliano permettere che questa gente sia ospitata… Io non so che concetto abbiano della storia queste persone. Come possiamo pretendere di chiudere porte, finestre e dire: “Andate via”? Questo è andare contro la storia e quindi farci male. O davvero apriamo gli occhi e prendiamo atto che siamo di fronte a un fatto nuovo – anche se ormai è diventato vecchio, non è più un’emergenza – e allora bisogna strutturarsi per affrontare questa realtà. Ma credo che dire “no” sia proprio il modo più sbagliato per risolvere il problema.

D.  – Nel recente passato tante volte si è detto: “Mai più”. Sono stati cambiati i nomi alle varie iniziative europee, però nel canale di Sicilia sembra cambiare molto poco. Su questo la Chiesa cosa dice?

R. – Che con le parole non si fermano gli eventi, i fatti, gli uomini… Le parole devono essere seguite dai fatti. La Chiesa chiede che a questa gente si dia quello che anche la nostra Costituzione prevede. Quindi non è solo un "pallino" della Chiesa: è un’esigenza dello Stato italiano. Allora, mettiamoci insieme e vediamo come affrontare questo problema. Ma se l’Europa non fa la sua parte l’Italia da sola non potrà affrontare questa emergenza. Questa gente che arriva qui non è gente che vuole restare qui, è gente che vuole andare in altre parti d’Europa. E allora tocca all’Europa. Io sono stato a Strasburgo, alcune settimane fa, a parlare di questa realtà ma se diventa soltanto motivo per fare accademie o altro, come possiamo dire: “Il problema è risolto”?  Questo è tempo di migrazioni, è un tempo in cui la storia sta cambiando, è un tempo, da quando è iniziata la globalizzazione, in cui stanno venendo fuori tutte queste storie che sono il risultato di questa globalizzazione che mette al centro la finanza, l’economia e non sa mettere al centro l’uomo. L’economia, per come la stiamo facendo sviluppare, serve a far diventare più ricchi i ricchi e a far diventare più poveri i poveri. Ma questa globalizzazione non doveva essere un modo per cui tutti ci potevamo sedere assieme allo stesso tavolo? La storia di Lazzaro che sta ai piedi del tavolo del ricco Epulone sta continuando e noi siamo i ricchi Epuloni ma nello stesso tempo siamo anche Lazzaro. Se ci ricordassimo di questo, forse cambierebbero i nostri atteggiamenti e non ci metteremmo a gridare “dagli all’untore”.








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