2015-04-16 11:35:00

Papa a vescovi Kenya: denunciare ogni forma di violenza


Denunciare “ogni forma di violenza, in particolare quella commessa in nome di Dio” ed essere esempi di riconciliazione, giustizia e pace per tutto il Kenya. Questo il senso delle parole del Papa nel discorso consegnato ai vescovi del Paese africano, in visita ad Limina. Il servizio di Giada Aquilino:

Impegno interreligioso per la pace
Lavorare “con i leader cristiani e non cristiani” per promuovere pace e giustizia in Kenya “attraverso il dialogo, la fraternità e l’amicizia”, in modo da offrire una “denuncia” unanime e coraggiosa “di ogni forma di violenza, in particolare quella commessa in nome di Dio”. Questo il mandato di Papa Francesco ai vescovi del Paese africano affinché la Chiesa locale rimanga “fedele alla propria missione” di essere strumento di riconciliazione, giustizia e pace.

La preghiera per le vittime dell’attacco a Garissa
Il Pontefice pensa ad un Paese sconvolto anche recentemente dalla violenza, con gli attacchi degli estremisti islamici di al Shabaab, e prega “per tutti coloro che sono stati uccisi da atti di terrore o di ostilità etniche o tribali” in Kenya e in altre aree del continente africano. La sua preghiera è in particolare per tutti gli uomini e le donne “uccisi al College universitario di Garissa” nella Settimana Santa: “possano le loro anime riposare in pace”, prosegue il Papa; i loro cari possano essere così “consolati”; e possano coloro che hanno commesso “tale brutalità” prenderne coscienza e “cercare misericordia”.

Bene comune, difesa dei poveri e lotta alla corruzione
Quindi, senza voler “interferire negli affari temporali”, l’auspicio del Papa è che la Chiesa in Kenya insista, soprattutto con coloro che “sono in posizioni di leadership o di potere” sui principi morali che promuovono “il bene comune e l’edificazione della società”. D’altra parte essa offre una “bella testimonianza” della “vita promessa da Cristo nel Vangelo”: la suo missione è dunque quella di “prendere una posizione profetica in difesa dei poveri e contro ogni corruzione e abuso di potere”, prima di tutto attraverso “l’esempio”.

Vescovi, guida per  seminaristi e Chiesa locale
Ai vescovi ricorda di non aver paura “di essere una voce profetica”, “di predicare con convinzione” diffondendo “la saggezza della Chiesa”. Li invita inoltre ad avere “cura paterna” per aiutare i giovani che rispondono alla chiamata del sacerdozio e che “vogliono dare tutto a Cristo attraverso il servizio alla Chiesa”: “i numerosi seminaristi” del Paese, prosegue, sono una “grande risorsa” e un “segno eloquente della bontà di Dio” per le diocesi del Kenya e per la Chiesa universale. Per “alimentare la crescita di tali vocazioni” - i cui germogli sono soprattutto “nel cuore della famiglia”, prim’ancora dei seminari - “è indispensabile” che la buona volontà dei giovani s’incontri con una formazione profonda, ricca e diversificata. I sacerdoti, poi, hanno bisogno di essere guidati “con chiarezza e forza, ma anche e specialmente con compassione e tenerezza”, sull’esempio di Gesù con gli Apostoli, affinché siano sempre “fedeli alle promesse fatte”. Il cuore del Papa è pure “vicino” ai religiosi e alle religiose del Kenya, soprattutto in questo Anno della Vita Consacrata. Apprezzamento per quanti impegnati negli istituti gestiti dalla Chiesa in tutto il Paese, portando “beneficio spirituale e materiale” a tante persone nel campo dell’educazione, della sanità, dell’assistenza sociale, dando “un contributo vitale per il benessere dell’intera Nazione”.

Famiglia e giovani
L’incoraggiamento di Francesco è anche per la “sollecitudine pastorale a favore della famiglia”, soprattutto in vista del prossimo Sinodo Ordinario ad essa dedicato e in particolare per quei nuclei “che stanno lottando” a causa di matrimoni falliti, infedeltà, violenze. La preghiera del Pontefice è anche per i giovani, affinché siano “capaci di assumere impegni” duraturi e permanenti nel matrimonio, come nel sacerdozio o nella vita religiosa. Infine uno sguardo al Giubileo della Misericordia, perché sia un “momento di grande perdono, guarigione, conversione e grazia” per tutta la Chiesa in Kenya e per tutti i fedeli in modo da essere quei “segni di riconciliazione, giustizia e pace” che Dio vuole per il Paese e per “tutta l’Africa”.

 

Il pensiero del Papa, incontrando in Vaticano i vescovi del Kenya, è andato alle vittime dell’attacco al Shabaab al College universitario di Garissa, nella Settimana Santa. La testimonianza del vescovo coadiutore di Garissa, mons. Joseph Alessandro, intervistato da Festus Tarawalie:

R. – La nostra area geografica ha sempre rappresentato una sfida, non soltanto per il clima ma anche per la gente e soprattutto per i conflitti tra i diversi clan. Recentemente, però, questa sfida ha assunto una nuova faccia: quella dell’estremismo islamico, in particolare di un gruppo terroristico che viene dalla Somalia, il gruppo al Shabaab. Negli ultimi quattro mesi, questo gruppo ha compiuto tre massacri nella nostra diocesi: due sono stati compiuti poco prima del Natale, nella zona di Mandera. Gli insegnanti e gli altri lavoratori stavano partendo per andare a trovare i loro cari in occasione delle feste natalizie. Il loro bus era partito molto presto al mattino, ma dopo soltanto qualche chilometro è stato fermato dagli al Shabaab. Hanno fatto scendere tutti i passeggeri, hanno separato i musulmani e i cristiani, hanno lasciato andare i musulmani, hanno fatto stendere, faccia a terra, i cristiani e hanno sparato loro in testa. Hanno ucciso 27 cristiani, cattolici e protestanti. Neanche due settimane dopo, in una cava di pietre lo stesso gruppo, molto presto al mattino, è entrato, ha separato i musulmani dai cristiani ed ha ucciso 38 cristiani. Sempre gli al Shabaab hanno attacco poi l’Università di Garissa. Dalla nostra casa abbiamo sentito gli spari, era presto, al mattino. Durante il giorno si è sparsa la notizia che gli al Shabaab avevano attaccato l’ateneo e lo tenevano sotto controllo. Sono entrati, hanno cominciato a sparare, hanno preso poi degli ostaggi e li hanno uccisi tutti.

D. – Il governo, come reazione, vuole chiudere il campo rifugiati a Dadaab, che ospitata circa 350 mila somali; vuole anche costruire un recinto di sicurezza. Che ne pensa?

R. – Anche se riuscissero ad attuare questi due progetti, non risolverebbero il problema.

D. – Ma allora cosa bisogna fare?

R. – Bisogna che il governo rafforzi la sua intelligence.

D. – In via preventiva?

R. – Sì, per prevenire eventuali attacchi.

D. – A livello di Chiesa, quali le iniziative intraprese dal punto di vista del dialogo interreligioso?

R. – Come Chiesa cattolica, già da un anno abbiamo lanciato un programma di dialogo interreligioso tra cristiani – non soltanto cattolici – e musulmani. Siamo riusciti a far incontrare, insieme, diversi gruppi di leader, di imam con i presbiteri delle Chiese protestanti e con i nostri sacerdoti. Abbiamo coinvolto anche gruppi di donne, che hanno molta influenza sulla comunità. Abbiamo cercato di coinvolgere i giovani, anche attraverso lo sport. Abbiamo cercato di farli incontrare, di farli stare insieme, di farli conoscere per dimostrare che si può vivere insieme, si può lavorare insieme, si può giocare insieme al di là delle diversità di fede e di religione.








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