2015-04-16 12:56:00

Yemen. Dimissioni inviato Onu: poco spazio per la mediazione


La scelta del diplomatico marocchino Jamal Benomar di dimettersi dal suo incarico di inviato dell’Onu in Yemen è il segno di una fase che non da spazio alla mediazione. L'embargo sulle armi e le sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu hanno inoltre sollevato le proteste del movimento ribelle sciita degli Houthi. L’Oman sembra essere l’unico attore regionale in grado di riaprire il dialogo. Claudia Minici ha sentito Eleonora Ardemagni, analista delle relazioni internazionali del Medio Oriente presso l'Ispi.

R. – Penso che fondamentalmente Benomar si sia dimesso per una perdita di fiducia delle parti nei suoi confronti. Benomar era in carica dal 2012, il blocco di potere legato all’ex presidente Alì Abdullah Saleh era più volte stato critico nei suoi confronti perché Benomar aveva criticato le continue interferenze di Saleh nel processo di transizione. Ma in queste ultime settimane l’Arabia Saudita in particolare è rimasta risentita nei confronti di Benomar perché il diplomatico marocchino ha proseguito nel suo compito di cercare una mediazione diplomatica con gli houthi, con le milizie sciite, nonostante questi stessero guadagnando militarmente spazio sul campo. Le dimissioni dell’inviato dell’Onu dimostrano che in questa fase purtroppo in Yemen lo spazio della mediazione è sempre più stretto e questa situazione viene ulteriormente complicata dalla crescita della tensione regionale fra Arabia Saudita e Iran.

D. – L’embargo sulle armi ai miliziani sciiti houthi imposto dalle Nazioni Unite ha buone possibilità di riuscita nel garantire maggiore stabilità al Paese?

R. – Penso che in realtà le armi in Yemen già abbondino. Quindi dal punto di vista della presenza di armi da parte dei miliziani houthi e anche dei tanti segmenti delle forze di sicurezza e dell’esercito che ancora rispondono all’ex presidente Saleh. Quindi penso che questa decisione non cambi molto gli equilibri sul campo. E poi sta creando ulteriore frizione a livello regionale perché l’altra parte - quella invece dei miliziani sunniti sostenuti dall’Arabia saudita e dei comitati popolari che appoggiano invece il governo riconosciuto dalla comunità internazionale del presidente Hadi - non è invece stata colpita da questo embargo. Inoltre il capo del partito Ansarullah, che è il partito degli houthi,  Abdul Malik Al Houthi e il figlio dell’ex presidente Saleh, Ahmed Saleh,  sono stati colpiti da sanzioni personali sempre da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Quindi penso che questa decisione del Consiglio di sicurezza non abbia ripercussioni di stabilizzazione sul campo.

D. – Le proteste popolari contro tale provvedimento potrebbero in qualche modo portare a dei compromessi?

R. – La strada della mediazione sembra in questa fase davvero stretta. L’Oman che è rimasto fuori dalla coalizione militare sunnita che ha deciso di intervenire in Yemen, avendo buoni rapporti sia con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, che con l’Iran, potrebbe essere l’unico attore regionale in grado di ritrovare un filo del dialogo che sembra perduto.








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