2015-04-17 15:36:00

Perugia. Festival giornalismo: l'Is e la strategia dei media


Al Festival internazionale del giornalismo in corso a Perugia, uno degli incontri della mattinata è stato dedicato al modo in cui il terrorismo di matrice musulmana, e in particolare gli strateghi del cosiddetto Stato islamico, utilizzi i media, in particolare il web. Al microfono della nostra inviata, Antonella Palermo, una delle partecipanti all’incontro, Sarah Varetto, direttore di Sky TG24, spiega come sia nata l’idea:

“L’idea ci è venuta insieme agli organizzatori perché crediamo sia un tema fondamentale quello di interrogarci e di capire non solo come giornalisti, ma anche dal punto di vista di un approccio più generale, quelli che sono scopi obiettivi di una strategia comunicativa che è stata scelta da parte dello Stato islamico e poi in che maniera i media italiani, ma anche europei e internazionali, stanno affrontando queste tematiche e soprattutto i rischi che portano con sé. Noi, personalmente, a Sky Tg24 abbiamo deciso e scelto sin dalla fine di agosto – appena arrivato il primo video con l’uccisione dell’ostaggio, James Foley – di non trasmettere assolutamente nulla: da noi, su TG24, non avete mai visto alcun video dell’orrore perché crediamo profondamente che per condannarlo l’orrore non serva condividerlo e che soprattutto non si vuole rischiare neppure per un momento di fare da grancassa a quelli che sono i venditori di morte. Quindi, su questo noi abbiamo una posizione molto netta. Pensavamo, però, che fosse anche interessante confrontarci sulla tematica e capire anche quelle che possono essere le ripercussioni di queste scelte di fronte al fatto che magari altri media, per ragioni diverse, hanno deciso invece di continuare a trasmettere questi messaggi, magari con l’alibi del ‘tanto sono comunque reperibili sul web’. Però, allora la domanda che mi faccio è: l’intermediazione giornalistica a che cosa serve se non anche, in qualche maniera, a fare da interpreti della realtà, senza mai manipolarla o alterarla, ma sicuramente a fare da filtro anche nella verifica della correttezza di certe informazioni che arrivano? Perché è talmente frammentata la loro realtà comunicativa – quella dei tagliagole dello Stato islamico – che anche in questo bisogna avere grande cautela quando si trasmettono poi certe informazioni al pubblico”.

A Lucio Caracciolo, direttore della rivista “Limes”, Antonella Palermo ha chiesto quale rischio rilevi, nei media italiani e occidentali, nel modo di riferire i fatti legati al terrorismo islamico:

R. – Il tratto comune è, a mio avviso, quello dell’enfasi e della semplificazione: questo è un po’ il rischio. Perché sono proprio l’enfasi e la semplificazione che fanno il gioco del sedicente Stato islamico: enfasi dell’aspetto violento, dell’aspetto terroristico, quindi moltiplicazione della paura e moltiplicazione degli effetti incontrollabili per definizione della paura. Forse, un approccio più cauto e anche più sereno a questi eventi contribuirebbe intanto a farli capire e poi anche a contenerne gli effetti potenzialmente devastanti sulle nostre culture.

D. – Cosa potrebbe aiutare i giornalisti ad avere lenti di approfondimento più adeguate a raccontare questo evolversi così drammatico?

R. – Nel medio periodo, bisognerebbe abituarci tutti a scavare un po’ più in profondità, a fare un po’ di archeologia del sapere, insomma – storia, geografia, culture di quei Paesi… Altrimenti, non riusciamo a capire e ci fermiamo alle immagini del sangue – ammesso che sia possibile, poi, capire fino in fondo, e non è così facile. In secondo luogo, il controllo delle fonti: noi attribuiamo al cosiddetto Stato islamico una quantità di cose, comprese immagini dell’orrore, che non sono state prodotte dallo Stato islamico.

Anche il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, invoca uno studio più accurato della materia, mettendo in guardia i media dal farsi inavvertitamente manipolare dallo Stato islamico:

“Quello che sembra chiaro è che ci sia una strategia mediatica di diffusione di queste notizie usate proprio a fine terrorismo, nel senso etimologico. Quindi, da una parte bisogna stare molto attenti a non farsi strumento di questa strategia, dall’altra è necessaria una preparazione specialistica, perché si tratta di mondi culturali molto diversi che vanno avvicinati con gli strumenti necessari”. 








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