2015-04-23 12:34:00

Ammiraglio Caffio: il blocco navale non ferma l'immigrazione


Oggi a Bruxelles si riunirà il Consiglio Europeo straordinario per affrontare l’emergenza immigrazione, dopo l’ennesima tragedia nelle acque del Mediterraneo. Molte le ipotesi auspicate, tra le quali la distruzione dei barconi dei trafficanti prima della partenza. Ma come prendere una decisione che sia in linea con il diritto internazionale? “Il blocco navale non è una soluzione per porre fine al flusso migratorio proveniente dalle coste nordafricane”. Così l’ammiraglio in congedo Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo, ha risposto ai microfoni di Federica Bertolucci :

R. – Di bombardamento qualcuno ne ha parlato riguardo ai barconi sulla spiaggia, sulla riva. Ma anche questo presenta diverse controindicazioni per i danni collaterali, per il rispetto della sovranità libica, per la difficoltà di selezionare gli obiettivi e quindi di distinguere i barconi dai pescherecci che sono lì sulla spiaggia. E’ una misura che – se verrà adottata dall’Unione Europea – dovrà essere ben definita sulla base – suppongo – di un mandato delle Nazioni Unite: sono loro che hanno definito il mandato di Atlanta per il contrasto della pirateria.

D.- Perchè ha definito il 'blocco navale' una soluzione impraticabile?

R. – Il blocco navale in senso stretto è soltanto una misura di guerra ed è una misura che si può adottare qualora vi sia un conflitto armato. E’ stato adottato da Israele nei confronti del Libano nel 2006, sempre da Israele nei confronti di Gaza e, nelle settimane scorse, è stato adottato dall’Arabia Saudita davanti alle coste dello Yemen, davanti ad Aden. Riferito ai migranti l’espressione "blocco navale" indica qualcos’altro: indica infatti come impedire ai barconi di prendere il mare per raggiungere le coste sud dell’Europa. Purtroppo la prassi, tesa all’interdizione delle imbarcazioni dei migranti, rivela degli elementi di criticità legale. Pensiamo a quello che si è fatto con l’Albania nel ’97 – e, tra l’altro, con l’accordo tra due governi, il governo italiano e quello albanese - che prevedeva il fermo in alto mare delle imbarcazioni provenienti dall’Albania e il loro respingimento verso la costa. In quel contesto avvenne il famoso episodio della corvetta "Sibilla", che entrò in collisione con l’imbarcazione albanese "Kater i Rades”. Fermare un' imbarcazione in alto mare è una cosa, oltre che difficile dal punto di vista operativo, che giuridicamente si presta a notevoli rilievi. Nel 2009 i migranti intercettati in alto mare da navi italiane, navi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, sono stati imbarcati ai fini del soccorso in mare e immediatamente dopo sono stati accompagni in Libia: a quel punto i migranti si sono ribellati, ne è nata una forma di coercizione e sono stati sbarcati con la forza. Una di queste persone ha fatto ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo e la Cedu, la Corte di Strasburgo, ha condannato l’Italia per violazione del “principio di non- respingimento” stabilito  della Commissione di Ginevra del 1951, per uso di forme di coercizione non consentite e per respingimento verso un Paese che non rispettava i diritti umani, come la Libia.

D. – Che proposta di accordo suggerisce alle maggiori organizzazioni internazionali, come l’Onu, l’Unione Europea e i Paesi nordafricani?

R. – Il Consiglio di Sicurezza potrebbe adottare una risoluzione maggiormente incisiva verso i traffici di esseri umani, perché è lì che si gioca la partita, quella cioè di fermare i trafficanti di persone con l’impegno di tutta la Comunità internazionale, cosa che non è ancora stata fatta anche se ci sono gli strumenti: c’è il Protocollo di Palermo, c’è la Convenzione sul crimine transnazionale. Quindi è necessario stringere alleanza sotto l’egida delle Nazioni Unite e l’Ufficio delle Nazioni Unite del crimine che ha sede a Vienna, così da adottare veramente delle azioni incisive nei confronti dei trafficanti. Sotto l’egida dell’Alto Commissariato dei rifugiati, della Croce Rossa Internazionale, istituire nelle località di partenza africane delle zone protette, cui i migranti possano arrivare, essere ospitati in modo decoroso e lì avanzare richiesta di protezione internazionale. Il rischio però, è quello di creare dei grandi Campi profughi come quelli che esistono nello Yemen.








All the contents on this site are copyrighted ©.