2015-04-23 13:04:00

Yemen: ancora raid. L'Onu invoca il ritorno alle trattative


La scorsa notte l'aviazione dell'Arabia Saudita ha portato a termine nuovi raid aerei contro le postazioni dei ribelli, nonostante avesse annunciato la conclusione delle operazioni militari. Il numero dei morti sale a 1.080 in 27 giorni di bombardamenti, con ingenti danni alle infrastrutture. I ribelli sciiti Houthi chiedono di fermare l'aggressione da parte della coalizione araba e la ripresa del dialogo politico. L'intervento di Paolo Lembo, coordinatore dell'Onu in Yemen, al microfono di Claudia Minici.

R. – La comunicazione che è arrivata dal ministero della Difesa saudita indicava un'evoluzione della strategia militare in Yemen. Parte di questa evoluzione concerne il tipo di bombardamenti aerei: c’è stata una riduzione di questi bombardamenti ma non una sospensione totale. E la giustificazione che è stata data dai sauditi è che gli Houthi, dopo l’annuncio di un allentamento di questi bombardamenti, hanno conquistato delle caserme nella zona di Taiz, e i sauditi sono intervenuti per prevenire un’ulteriore espansione. Certamente, la strategia è cambiata: i bombardamenti non hanno avuto l’intensità violentissima che si era registrata negli ultimi mesi.

D. – Qual è la strategia più adatta per la riapertura di un dialogo che non sembra volersi instaurare?

R. – Le posizioni delle parti in causa sono molto distanti. I Paesi della coalizione, soprattutto il Paese che guida la coalizione – l’Arabia Saudita – esige un ritiro delle truppe sciite Zaide degli Houthi dalle posizioni che hanno occupato, a partire dalla capitale del Paese, la città di Sanaa, e questo sarà molto difficile che accada. Le truppe sciite ritengono che sia indispensabile, per tornare al tavolo delle trattative, che i bombardamenti finiscano. La realtà è che l’attività diplomatica è incominciata già da tempo, e noi sappiamo che l’Oman sta lavorando alacremente – il sultano Qabus in particolare – per cercare di portare le parti al tavolo delle trattative. L’Oman è un Paese neutrale del Golfo, che non fa parte della coalizione, che ha rapporti costruttivi sia con l’Iran sia con l’Arabia Saudita, che sono i due poteri preminenti, economici e militari regionali. Quindi in realtà si tratta di un’attività diplomatica molto intensa e già attiva. E’ invisibile, ma è questa attività che sta cercando di riavvicinare le condizioni che in questo momento impediscono alle parti di tornare immediatamente al tavolo dei negoziati. Per noi come Onu, l’obiettivo – dopo questo riavvicinamento iniziale – è che si raggiunga un accordo per una conferenza che porti tutte le parti in conflitto a rifondare un processo di dialogo di pace, e questo potrebbe avere luogo tra qualche settimana, non nel futuro più immediato.

D. – Quanto l’intervento statunitense incide sulle trattative di pace?

R. – Ha un peso preponderante. Il Dipartimanto di Stato aveva espresso preoccupazione per il numero dei morti, che sono molti di più di quelli indicati nelle cifre ufficiali, che sono approssimative per difetto. Si parla di 1.080 morti. I danni che sono stati causati alle infrastrutture sono monumentali, in un Paese – poi – che già di per sé è il Paese più povero del mondo arabo! La guerra non può essere vinta con questi sistemi di bombardamento aereo! Penso che anche i sauditi abbiano riconosciuto che bisogna oltrepassare questa strategia, mostrare flessibilità … I sauditi hanno dato un segnale molto forte, con questa operazione militare; adesso bisogna tornare alle trattative.








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