2015-04-25 10:00:00

Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica


Nella quarta domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice:

“Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti:

Il Vangelo di oggi apre uno squarcio particolarmente ricco sul mistero della Pasqua, con l’immagine del Buon Pastore che dà la propria vita per le pecore. A differenza del mercenario, a cui non importa nulla delle pecore, perché non le conosce e gli “servono” solo per guadagnare il suo salario alla meno peggio; il Buon Pastore “conosce” le sue pecore, ma di una conoscenza particolare: quella “conoscenza infinita, totale e immediata che sussiste in eterno tra il Padre e il Figlio, divina ‘conoscenza per Amore di Carità’… E questo porta il Pastore che così ‘conosce’ e quindi ama il suo gregge, ed è riamato dal suo gregge, a donare la sua vita per le sue pecore, affinché le sue pecore abbiano la vita…” (T. Federici). È una conoscenza sapienziale che è propriamente nuziale. “Per il Pastore e Sposo e Agnello, donare la sua vita è perderla del tutto per crearla negli altri, e qui ritrovarla e viverla nella comunità d’amore”. Ecco il mistero della Pasqua che celebriamo, lontanissimo da ogni clericalismo mercenario che ci porta a “servirci” degli altri,  ad “usare” gli altri: le pecore a servizio dell’istituzione, della parrocchia, dei pastori. Oggi, nella Pasqua settimanale, siamo invitati ad entrare in contatto, con il Buon Pastore, in  questa  esperienza nuziale, che è l’Eucarestia, che ci unisce intimamente a Cristo, mediante la comunione con i fratelli, che trasforma anche noi in “pastori” misericordiosi verso gli altri, capaci di perdono, di accoglienza, di dare la nostra vita per gli altri, liberandoci, poco a poco, ma radicalmente, dallo spirito del “mercenario” radicato in noi.








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