2015-04-26 10:00:00

Elezioni in Benin: la gente chiede più sviluppo


In Benin si attende l’esito delle legislative di domenica per il rinnovo di 83 membri del parlamento. La campagna elettorale è stata condizionata dalle intensioni del presidente Boni Yayi di riformare la costituzione del 1990. L’opposizione lo accusa di voler cambiare la Carta fondamentale per avere un terzo mandato. Marco Guerra ha intervistato Jean-Baptiste Sourou, giornalista e docente universitario in Benin:

R. - È stata una campagna elettorale molto interessante, per il fatto che i partiti dell’opposizione sono scesi in campo, basandosi soprattutto sugli insuccessi del governo, facendo leva sulle promesse non mantenute dal governo e anche sul fatto che molta gente oggi in Benin teme un possibile cambiamento della Costituzione - anche se la Corte costituzionale ha fatto capire, nel novembre del 2014, che non si può toccare la parte della Costituzione che dice che il mandato presidenziale nel Benin è di cinque anni, rinnovabile solo una volta. Il partito del presidente Yayi Boni e i suoi alleati desiderano 50 parlamentari da queste elezioni: 50 parlamentari su 83 fanno la maggioranza assoluta. Quindi la gente, durante tutta questa campagna, si è chiesta: “Cosa vorranno fare con questo numero così alto?”. L’opposizione dice: “Facciamo di tutto affinché non si arrivi a questi 50. Quindi chiudiamo ogni discorso di possibile cambiamento”. L’altra caratteristica di questa campagna, che riguarda sia i partiti dell’opposizione sia quelli che sono al governo, è che la popolazione non ha esitato a cacciare i candidati che facevano campagna elettorale, soprattutto quei candidati che hanno chiesto il voto nella passata legislatura e che non hanno mantenuto le promesse.

D. – Quali sono le sfide più importanti che deve affrontare il Paese dal punto di vista sociale, economico, legislativo…

R. – La prima sfida è che la democrazia nel Benin possa avere delle conseguenze economiche, dare la possibilità alla gente del Paese di poter respirare, di poter vedere qualche sviluppo in più nel Paese. E quando dico questo penso soprattutto ai giovani: ci sono tanti, troppi giovani nel Paese che sono senza lavoro e sono costretti ad andare via dal Benin. Persone che hanno diplomi in tasca, che sono costrette a guidare i taxi nelle città. C’è anche il problema della scuola, della sanità, delle infrastrutture e delle comunicazioni: ci sono tanti problemi, ma la cosa più importante per la gente adesso è avere i soldi in tasca per curarsi, comprarsi da mangiare, curare i figli, mandarli a scuola. Questo è il pensiero: che i ragazzi non siano abbandonati a se stessi.

D. – Qual è l’impegno della Chiesa nel Benin? Ci sono state richieste da parte dei vescovi sull’impegno dei candidati?

R. – La Chiesa ha sempre puntato a essere una Chiesa che forma le coscienze e a rimanere sempre neutrale. Quello che si è notato è che molti parroci hanno cercato di chiedere ai fedeli di votare secondo coscienza e non secondo le promesse che un domani non saranno mantenute. Soprattutto cercare in questo momento la coesione del Paese, perché si sa che le elezioni sono sempre un periodo molto sensibile per vari motivi. Quindi c’è anche questo discorso, di cercare di mantenere la coesione sociale, la pace sociale: votiamo, ma non dobbiamo dimenticare che siamo figli dello stesso Paese. Il Benin è sempre stato guardato dagli altri Paesi che sono attorno a noi come un Paese modello di democrazia. Anche se - come dicevo - le ricadute economiche non si vedono completamente ed è quello a cui aspira di più la gente. Però la nostra democrazia rimane sempre un punto di riferimento per tanti Paesi, perché non abbiamo avuto guerre civili. La gente del Benin – bisogna dire – porta nella sua anima sempre il desiderio di pace e di coesione. Per cui, la democrazia del Benin, nella regione dell’Africa occidentale, e al di là di questa regione, è sempre guardata come un modello. Questo bisogna dirlo.








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