2015-04-28 13:35:00

Divorzio breve. Diotallevi: società si congeda da matrimonio


"Il divorzio breve è l’ultimo di una serie di provvedimenti legislativi che rendono più semplice porre fine ad un matrimonio". Così il sociologo Luca Diotallevi in un editoriale pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera. "Il largo consenso e le timide critiche - scrive - fanno apparire fuori luogo ogni polemica.In questi ultimi mesi la politica ha dato il proprio contributo al congedo che la nostra società sta prendendo dal matrimonio, sempre più visto come affare privato". Ora che il divorzio breve è legge, quali effetti avrà sulla società? Il parere dello stesso Diotallevi, intervistato da Fabio Colagrande:

R. – Sarà una società un po’ più povera: nella società restano solo i soldi dell’economia e la forza di una legge. Scompare il diritto, scompare l’amore: il matrimonio dà luogo a una relazione pubblica e importante e questo significa che la politica, la religione, l’economia devono fare un passo indietro di fronte a questa volontà.I poteri fanno fatica a fare passi indietro rispetto a istituzioni che non controllano. Il matrimonio è una grande libertà dell’amore nella società.

D. – Un’altra coincidenza che lei ha notato è che questa scelta legislativa avviene in un momento in cui il matrimonio non pretende più di essere l’unica istituzione all’interno della quale è lecito praticare l’amore, la sessualità o procreare…

R. – E questo è il sospetto: perché attaccare il matrimonio? Dà l’idea che nel matrimonio c’è qualcosa che disturba…

D. – E forse in molti dimenticano che l’art. 29 della Costituzione stabilisce l’altro che l’amore tra un uomo e una donna è capace di alimentare eguaglianza giuridica e morale tra i due…

R. – E certo. E questa cosa ti colpisce perché il verbo che utilizza la nostra Costituzione – quindi, non un documento confessionale, ma un documento condiviso dalla gran parte del popolo italiano nel ’46 e formalmente tuttora – è il verbo “riconoscere”. Cioè, lo Stato si rende conto che di fronte ad alcuni fenomeni sociali, per esempio all’amore di un uomo e di una donna che assumono certi impegni e certi doveri, non è che lo Stato “fonda” o “consente”, ma “riconosce”, riconosce che è un diritto che precede il costituirsi dello Stato. Questo fa della nostra una Repubblica e non uno Stato totalitario. Venir meno a questa capacità di riconoscere significa che anche la nostra politica è un pochino più pericolosa.

D. – E che possono anche svilupparsi modelli di famiglia diversi in cui non c’è più anche questa “eguaglianza giuridica e morale”…

R. – Non ogni modello familiare è equivalente. Dove non c’è la parità tra uomo e donna, dove non c’è a fondamento l’amore, la famiglia assume schemi che noi, duemila anni fa, abbiamo incominciato a rompere: la famiglia dei primi cristiani non era la famiglia di cui noi vediamo le tracce quando visitiamo Pompei, un impero al centro del quale c’era il maschio e al piano basso del quale c'erano sono le donne, i figli e gli schiavi.

D. – Si parla già di un disegno di legge che introdurrebbe anche in Italia – perché c’è in altri Paesi – l’istituzione dei “contratti prematrimoniali”, cioè ci si mette d’accordo prima per come eventualmente gestire la patrimonialità in caso di una separazione. Questo, cosa le fa pensare?

R. – Quello che si cerca non è il legittimo regolare i rapporti tra due individui, ma è il fatto di ridurre il matrimonio a un contratto. Si lasci libero chi vuole fare un matrimonio, di immaginare un’avventura senza limiti dalla quale – come noi sappiamo – è anche possibile uscire. Ma un ulteriore condizionamento a priori del matrimonio dà l’idea che si perda il senso della specificità di questa relazione. Attenzione: come credenti, se vogliamo, nessuno ci impedirà di viverlo. Naturalmente, sarà più impegnativo perchè in un contesto che meno lo protegge.








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