2015-04-29 14:04:00

Mons. Cavina: Carpi in Serie A è successo di una città sana


“Favola”, “miracolo”. Sono i termini comuni con i quali soprattutto i media sportivi italiani sono soliti celebrare la promozione in serie A della squadra di calcio di una piccola città. E in questo modo da ieri stampa, tv e web stanno raccontando l’impresa del Carpi, che ieri ha tagliato il traguardo della promozione nella massima serie partendo nel 2009 dalla serie D. Il vescovo della città emiliana, mons. Francesco Cavina, sottolinea, nell’intervista di Alessandro De Carolis, come i meriti sportivi della squadra siano riflesso della “coesione sociale” di una città che ancora sopporta le ferite dal sisma del 2012:

R. – Dietro a questo successo della polisportiva Carpi, c’è tutto un lavoro che rivela e che manifesta la ricchezza e la grandezza di questa città, che trova la sua espressione più alta proprio nel senso umano e nella coesione sociale che è presente. Quindi, non è solo il frutto di una favola, ma è il frutto di un tessuto che sa dare tante positività nel contesto della società civile.

D. – Questo tessuto sano, come lei dice, si riflette anche in quella sana gestione societaria del Carpi, che in questo momento viene portata ad esempio rispetto alle grandi corazzate del calcio. Che cosa raccontano i ragazzi del Carpi alla società italiana?

R. – A me sembra che raccontino il valore grande di un ideale. Hanno sofferto, si sono impegnati, si sono sottoposti anche a tanti sacrifici proprio per una idealità. E questa mi sembra che sia la cosa più significativa e più bella. Non era tanto il successo o il denaro che hanno desiderato raggiungere, ma dare il segno che nell’impegno è possibile raggiungere degli obiettivi e un traguardo.

D. – Tre anni fa, Carpi ha vissuto un dramma praticamente dimenticato oggi, quello del terremoto. Si sono rimarginate le ferite? Qual è la situazione oggi?

R. – La situazione oggi è ancora molto problematica. La ricostruzione fatica molto a tenere il passo di quelli che erano gli impegni che erano stati assunti subito dopo il terremoto. Per tutta una serie di circostanze e di eventi, oggi la ricostruzione va molto, molto a rilento e questo va a scapito proprio del benessere spirituale delle persone, perché i segni del terremoto sono molto visibili ancora, soprattutto negli edifici storici e negli edifici ecclesiastici – nelle chiese, nei monumenti. E il fatto che siano ancora aperte queste ferite fa rinascere paure, ansie, tensioni, che quindi non possono mai essere sanate fintanto che queste realtà non troveranno proprio la loro risistemazione e il loro utilizzo per il quale erano state costruite.

D. – In che modo il terremoto ha cambiato in questi tre anni la vostra vita come parrocchie, come diocesi?

R. – Devo dire che è stato un cambiamento a 360 gradi, perché si è dovuto passare da una Chiesa che faceva molto affidamento sulle proprio strutture a una Chiesa che si esprime ora attraverso i suoi fedeli. Dobbiamo fondarci unicamente sul nostro senso di appartenenza alla Chiesa in quanto popolo di Dio, in quanto corpo di Cristo. Per cui, è cambiata radicalmente proprio la prospettiva.

D. – Come vescovo le chiedo di fare gli auguri alla squadra della sua città ma anche ai suoi cittadini, che ancora sperano di vedere, come lei diceva, risanato ciò che oggi è distrutto…

R. – Alla squadra del Carpi auguro di conservare e di mantenere la freschezza delle origini. Questo mi sembra sia l’augurio più bello che posso fare. Ai cittadini di Carpi rinnovo quello che dico in continuazione: il Signore ci ha tolto tanto, ci ha tolto quasi tutto quello su cui facevamo affidamento, però abbiamo scoperto che c’è una presenza che continua ad essere in mezzo a noi, che è la presenza del Signore, e che non ci fa mancare le consolazioni di cui abbiamo bisogno, proprio per continuare il cammino della vita. Vorrei dire, quindi, proprio ai miei fedeli, ai miei cittadini: in Cristo tutto è possibile.








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