2015-05-05 12:36:00

Burundi: sì della Corte al terzo mandato di Nkurunziza


Non si fermano le proteste a Bujumbura contro il terzo mandato del presidente uscente Pierre Nkurunziza. Secondo la Croce Rossa, almeno tre persone sono rimaste uccise nelle ultime ore a causa degli scontri contro la polizia. Il vicepresidente della Corte Costituzionale Nimpagaritse, è fuggito dal Paese dopo aver denunciato le pressioni da parte della Presidenza sull’emissione di una sentenza favorevole a Nkurunziza. Ma questo giudizio erà già preannunciato? Federica Bertolucci lo ha chiesto a Enrico Casale, giornalista della rivista “Africa” dei Padri Bianchi:

R. – Non era scontatissimo che la Corte Costituzionale approvasse la candidatura per il terzo mandato, però – in effetti – le pressioni su questo organismo dello Stato burundese erano così forti che alla fine la stessa Corte Costituzionale ha ceduto. Mi ha impressionato, questa mattina, leggere la notizia che proprio per sfuggire a queste pressioni di tipo politico il vicepresidente della Corte costituzionale sia addirittura fuggito dal Burundi per non dover prendere una decisione che non condivideva.

D. – Al presidente cosa si contesta precisamente, oltre alla candidatura per un terzo mandato?

R. – Fondamentalmente, la contestazione è quella della ricandidatura. Nkurunziza dice che di fatto sarebbe solamente la seconda ricandidatura, non considerando il primo mandato. Questo tipo di protesta non è tipica solo del Burundi: anche in altri Stati ci sono state contestazioni simili. Penso recentemente al Togo dove – anche in quel caso – si è ricandidato il presidente Faure Gnassingbé tra le proteste dell’opposizione. Ma anche al Burkina Faso, dove lo scorso anno Blaise Compaoré ha cercato di imporsi per un terzo mandato, ma la piazza lo ha costretto a lasciare. Quello che si contesta a questi presidente è l’attaccamento alla carica, l’attaccamento alla poltrona. La società civile e la politica, quella più trasparente e più onesta, non accetta più questi presidenti che una volta insediatisi non vogliono più lasciare il potere. In Africa c’è sempre più una coscienza della necessità di una alternanza al potere e quindi una maggiore democrazia e trasparenza.

D. – L’opposizione ha un candidato leader che possa risultare adeguato alla gestione di una realtà difficile come quella del Burundi…

R. – L’opposizione, in Burundi, è molto frazionata. Non si capisce l’intero problema se non lo si inquadra anche dal punto di vista etnico. Come sappiamo il Burundi – così come il vicino Rwanda – ha una composizione etnica particolare: esiste una maggioranza hutu e una minoranza tutsi. Questa maggioranza hutu, in questo momento, non è compatta; così come non è compatta anche la minoranza tutsi: di conseguenza, per il momento, la situazione politica burundese è assai confusa. Il rischio – il vero rischio – che si corre in Burundi è quello di una protesta, che attualmente non si incanalava su divisione di carattere etnico, che possa deviare su questa caratteristica etnica e quindi possano scoppiare nuovi incidenti e una nuova guerra civile da cui il Burundi è uscito da non molto. Il rischio che questo scontro, che attualmente è uno scontro tipicamente politico, possa trasformarsi in uno scontro etnico dovrebbe preoccupare molto la comunità internazionale, che dovrebbe fare maggiore pressione sul governo burundese affinché si possa avere una transizione politica in senso democratico per prevenire qualsiasi scontro e quindi una possibile tragedia, non dico come quella del Rwanda del 1994, ma una tragedia che potrebbe avere proporzioni abbastanza grandi.








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