2015-05-07 13:16:00

Diplomazie del mondo di fronte a 38 milioni di sfollati


Se il numero dei profughi nel mondo è di ormai 50 milioni, ad impressionare è anche l’ultimo dato sul numero di persone che fuggono all'interno del proprio Paese:  sono 38 milioni gli sfollati a causa di conflitti o violenze.  Si tratta di dati del Rapporto Global Overview 2015, pubblicato in questi giorni. Il dramma umanitario si concentra nei Paesi devastati da guerre e violenze ma deve però interpellare diplomatici di tutto il mondo. Nell’intervista di Fausta Speranza, Germano Dottori, docente di Studi Strategici alla Luiss:

R. - Non a caso emergono situazioni particolarmente gravi collegate alla Siria e collegate all’Iraq, dove la guerra civile ha imperversato e ha fatto registrare anche la nascita dello Stato islamico che, allargandosi, ha fatto scappare tantissime persone. Si tratta di metodi di terrorismo di massa che proprio a produrre esodi erano finalizzati. Pare che il 60% dei nuovi profughi si concentri in cinque Stati e questo evidenzia come situazioni incancrenite, che si sono poi aggravate di recente, abbiano dato il contributo maggiore a questo dato molto negativo.

D. - Eravamo abituati a pensare a persone che devono abbandonare il proprio Paese per situazioni di conflitto, invece qui c’è l’anarchia di un Paese in cui all’interno si spostano le persone disperatamente…

R. - Ma questo riflette anche il fatto che la guerra tra gli Stati sta declinando verso situazioni di conflitto interno ai vari Paesi. Quindi, se sono  le guerre civili a prevalere sulle guerre internazionali classiche del passato è evidente che tutto questo si riflette anche nel tipo di fenomeni che sono associati; in questo caso, sfollati interni rispetto ai profughi internazionali, che comunque ci sono e rappresentano una grossa realtà. Leggevo di questo dato della Siria che ha praticamente un terzo della propria popolazione sfollato perché si è mosso all’interno del territorio nazionale. Ma, se a questi si aggiungono coloro che sono usciti fuori dal Paese, abbiamo il dato drammatico di metà della popolazione nazionale che ha dovuto lasciare le proprie abitazioni. Questo evidentemente avrà ripercussioni straordinarie a lungo, lunghissimo termine molto difficili da sanare.

D. - Iraq, Siria, Congo, Sudan, Nigeria, Medio Oriente e Africa…

R. - Sì, sono le zone che hanno avuto i maggiori problemi di sicurezza. Sarà interessante vedere, nei documenti che usciranno il prossimo anno, se per via del conflitto in atto in Ucraina uscirà fuori qualcosa di importante collegato all’Europa. Io a questo punto non lo escluderei. Anche uno sfollato singolo rappresenta un problema perché è il risultato di un disagio che evidentemente sarebbe meglio che non ci fosse. Quindi i numeri contano tanto ma bisogna anche pensare al dato qualitativo che è anche la situazione della singola persona che, evidentemente, è stata costretta a scappare dal fatto che le condizioni di vita nella propria zona di residenza erano divenute o sono divenute inaccettabili.

D. – Visto a livelli di equilibri internazionali, è molto difficile incidere all’interno di un Paese, tanto più se è in conflitto. Ma allora che cosa fare?

R.  – Questo è evidentemente molto complicato da stabilire. Ma è certo che noi siamo in una situazione di grandissimo squilibrio internazionale, di grandissima instabilità. Non si vede all’orizzonte un ordine nuovo di un certo tipo che possa reggere nel tempo e qui purtroppo dobbiamo mettere in preventivo che per un certo periodo di tempo noi avremo a che fare con gli esiti di tutto questo. Anche perché, tra l’altro, coloro che avrebbero la forza per intervenire e in qualche modo tamponare le situazioni più gravi non intendono farlo perché ritengono che i costi da sostenere siano troppo alti rispetto ai benefici che possono esserne tratti. In queste condizioni siamo sostanzialmente disarmati, non abbiamo la possibilità di incidere politicamente in modo serio sulle crisi che stanno provocando anche queste tragedie.








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