2015-05-14 14:30:00

Dopo la Thailandia, la Malaysia chiude le porte ai boat-people


Con gli oltre 500 boat-people arrivati ieri su un barcone e rimessi in mare questa mattina insieme a altri 300 dopo essere stati riforniti di viveri e carburante, entra nel vivo la nuova politica di respingimento dichiarata da Kuala Lumpur. Una reazione al blocco delle coste agli sbarchi della vicina Thailandia, che per anni aveva consentito un lucroso flusso di migranti irregolari attraverso il suo territorio, gestito da bande transnazionali con appoggi locali a vari livelli. Da sabato - riferisce l'agenzia Misna - la pressione sulle coste malesi e su quelle indonesiane è cresciuta, ma la coscienza che la maggior parte dei fuggiaschi di etnia Rohingya provenienti da Myanmar e Bangladesh hanno le coste malesi come meta prioritaria, ha posto il Paese in una condizione difficile.

L'assistenza delle istituzioni caritative islamiche
Sono circa 150.000 (45.000 rohingya) gli immigrati irregolari accolti in strutture pubbliche nel Paese, finora generoso nell’accoglienza, pure non avendo ratificato la Convenzione internazionale sui rifugiati. La simpatia locale per la comune fede musulmana dei Rohingya e il supporto di istituzioni caritative islamiche avevano concesso a chi arrivava un’ospitalità, seppure essenziale.

Sul problema dei boat-people la Malaysia teme di restare sola
La situazione è ora cambiata. Il Paese teme l’invasione e di essere lasciato solo davanti al problema che ha origine nel rifiuto del governo birmano a integrare i Rohingya e a fermare la persecuzione contro di essi, i vasti interessi aggregati attorno al loro traffico e sfruttamento e, infine le opportunità anche politiche del governo malese che ha incentivato l’esodo senza regolamentarlo e in anni recenti non ha premuro sul governo birmano per un cambio di linea verso la minoranza musulmana perseguitata.

Accuse della Malaysia contro Myanmar e Bangladesh
La Malesia ha raddoppiato la sua presenza attorno all’isola di Langkawi e la più settentrionale Penang, oltre che sulla costa prossima al confine thailandese “per impedire ogni intrusione illegale”, ha confermato l’ammiraglio Tan Kok Kwee, comandante della regione settentrionale della marina militare malese. Chiaro il messaggio del vice-ministro dell’Interno Wan Junaidi ai governi coinvolti e che vanno verso un incontro sulla questione con poche aspettative il 29 maggio: “Voi parlate di democrazia ma trattate i vostri cittadini come rifiuti, come criminali fino a quando sono costretti a fuggire dal Paese”.

Impegno contro i trafficanti ed i funzionari corrotti
Intanto, nessun risultato concreto dall’incontro di ieri tra polizia thailandese e malese, se non l’impegno a rilanciare la cooperazione contro i trafficanti, che a decine sono stati arrestati o sono ricercati in questi giorni ma i cui capi e i referenti istituzionali sono alla macchia. Il centinaio di funzionari e di poliziotti finora individuati in Thailandia come parte del racket sono solo pedine, in maggioranza trasferite altrove come da prassi ma non puniti, oppure indagati a piede libero. Sempre in Thailandia, da segnalare oggi l’opposizione delle comunità locali all’apertura di campi profughi permanenti nel Sud thailandese dopo che la possibilità era stata ventilata dal premier in alternativa all’allontanamento in mare dei boat-people. (C.O.)








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