2015-05-23 14:53:00

Migranti del Bengala e Rohingya: Onu, salvare vite umane


“Priorità improrogabile è salvare le vite umane”. Con queste parole il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, chiede alla comunità internazionale di puntare l’attenzione sul dramma dei migranti del Bengala e di etnia Rohingya, la minoranza musulmana in fuga dalle persecuzioni in Myanmar. Appello anche a Indonesia e Malaysia affinché interrompano le politiche dei respingimenti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Cecilia Brighi, segretario generale dell’associazione “Italia-Birmania Insieme”:

R. – Per quanto riguarda i Rohingya, che il governo birmano non vuole assolutamente riconoscere, loro sono da decenni perseguitati in Birmania; è un’etnia che non è stata riconosciuta, dopo l’avvento della dittatura militare nel 1962, e quindi sono anni e anni di tensione. Oggi la situazione si è fatta più pesante perché anche a seguito del censimento del 2014 il governo birmano ha rifiutato di riconoscere queste etnie e questi sono cittadini apolidi, cioè non hanno uno Stato e vivono relegati in campi lontani dai loro villaggi di origine: sono oltre 100 mila persone che vivono in questi campi, in condizioni di sopravvivenza veramente molto precarie. Molti fuggono, cercano di andare con i barconi in Malesia o in Indonesia, perché sono Paesi musulmani.

D. – Perché su questo dramma dei Rohingya il silenzio di un personaggio che è stato da sempre paladino dei diritti umani, un personaggio come San Suu Kyi?

R. – San Suu Kyi si trova in una condizione molto delicata: a novembre ci saranno le elezioni e sta cercando di modificare la Costituzione perché lei possa diventare presidente della Repubblica. Quindi, ovviamente teme che una parte della popolazione birmana possa attaccare le sue frasi. Lei dice: “Taccio perché qualsiasi cosa io dica produrrà più sangue, più tensione”, ma il suo partito ha detto recentemente che i Rohingya devono avere il diritto di cittadinanza.

D. – Il fenomeno delle migrazioni, così come è avvenuto in Europa, è sintomatico di qualcosa che sta cambiando a livello economico e sociale. Che cosa sta succedendo in Asia, in questo momento?

R. – In molti Paesi asiatici la crisi internazionale ha prodotto un’ulteriore precarizzazione delle condizioni economiche: grandi fasce sempre più ricche e fasce di persone sempre più povere. Quindi c’è una situazione di povertà diffusa che provoca lo spostamento di centinaia di migliaia di persone verso Paesi che possono offrire un’opportunità di lavoro e di sicurezza maggiore, rispetto alle situazioni di conflitto e di repressione, anche politico-religiosa. Molte minoranze religiose sono represse, nei Paesi asiatici, e quindi cercano protezione nei Paesi che rispettano maggiormente le diversità culturali e religiose e i diritti umani.








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