Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez è beato. Oltre 200 mila persone, tra i quali numerosi capi di Stato, hanno partecipato sabato a San Salvador alla cerimonia di beatificazione dell’arcivescovo martire, assassinato in odio della fede il 24 marzo 1980 mentre celebrava l’eucaristia. “Un uomo di fede profonda e incrollabile speranza”, lo ha definito il card. Angelo Amato, prefetto della congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Papa. La sua festa sarà il 24 marzo, giorno della morte. Paolo Ondarza:
Gioia incontenibile tra gli oltre 200mila fedeli
Romero è beato. E’ incontenibile la gioia delle centinaia di migliaia
di fedeli radunati nell’assolata piazza del Divino Salvador del Mundo a San Salvador.
Il postulatore della causa di beatificazione, mons. Vincenzo Paglia, ha ricordato
pubblicamente la testimonianza luminosa dell’arcivescovo martire, ucciso durante la
celebrazione eucaristica dagli “squadroni della morte” legati al governo militare
perché denunciava le violenze del regime.
Sul palco la camicia celeste macchiata dal sangue.
“Con la messa odierna - ha detto mons. Paglia - si dà compimento a quella celebrazione
interrotta nel sangue” e a quella dei funerali ugualmente segnati da un massacro compiuto
dal fuoco aperto sui fedeli dall’esercito. Rosso, colore del martirio, il grande palco
allestito per la cerimonia sul quale è stata esposta, tra le varie reliquie, accanto
alla palma del martirio, la camicia celeste di Romero macchiata dal sangue; chiaro
il messaggio: la morte non ha vinto.
Opzione per i poveri di Romero era evangelica, non ideologica
Il sangue dell’arcivescovo martire infatti - ha ricordato il card. Amato - quel 24
marzo 1980 si mescolò sull’altare al sangue redentore di Cristo. “Uomo virtuoso, sacerdote
buono, vescovo saggio”, “amava Gesù, Maria, la Chiesa, il suo popolo”, la sua opzione
per i poveri “non era ideologica, ma evangelica”. Romero - ha detto il card. Amato
- resta ancora oggi conforto per i “derelitti e gli emarginati della terra”, “luce
delle nazioni e sale della terra”.
Il martirio di Romero non fu un'improvvisazione
Il porporato ha ricordato che “il martirio per Romero non fu un’improvvisazione, ma
il culmine di un cammino spirituale”. “Tu sei tutto, io sono nulla. Con il tuo tutto
e con il mio nulla faremo molto” scriveva da giovane seminarista in una preghiera
conservata nel suo diario e citata dal card. Amato che ha ricordato il cammino che
da “Pastore mite e quasi timido” lo ha portato a seguito dell’uccisione di padre Rutilio,
il gesuita salvadoregno, parroco dei campesinos oppressi ed emarginati, a ricevere
dallo Spirito Santo il dono della fortezza che - per sua stessa ammissione - lo rese
sempre più esplicito “nel difendere il popolo oppresso e i sacerdoti perseguitati”.
Romero non è simbolo di divisione, ma di pace e fratellanza
“La sua carità - ha concluso il card. Amato - si estendeva ai suoi persecutori ai
quali predicava la conversione al bene: egli non è dunque simbolo di divisione, ma
di pace, concordia e fratellanza”.
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