2015-05-23 08:31:00

Veglia nuovi martiri. Forte: loro testimonianza è una grazia


Un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza ai fratelli che soffrono a causa della fede. Con questo spirito la Conferenza episcopale italiana dedica ai martiri contemporanei la Veglia di Pentecoste di stasera in tutte le parrocchie e le comunità che la celebrano. Benedetta Capelli ne ha parlato con mons. Bruno Forte, presidente della Commissione Episcopale della Cei per l’ecumenismo e il dialogo:

R. – Il martirio fa parte dell’identità cristiana, nel senso più profondo. Il significato originario di martirio è “testimonianza”. Il martire è il testimone di Cristo, per cui la morte del martire è un annuncio della vittoria di Cristo sulla morte. Naturalmente, accanto a questo aspetto, che è quello connesso con l’identità cristiana, c’è però il dramma immane del fatto che tante di queste persone oggi uccise per il nome di Cristo, lo sono da parte di totalitarismi, di pregiudizi, di violenze motivate indebitamente in nome di Dio. E allora, se da una parte si esalta la figura del martire, se ne riconosce la luminosità e la fecondità per la vita della Chiesa, dall’altra, non si può non condannare con fermezza la violenza che, soprattutto quando esercitata in nome di Dio, pretende di affermare la logica della potenza del mondo contro la logica della carità e la logica della fede.

D. – Tra l’altro, questo dramma che si sta consumando - lo vediamo ogni giorno, in Siria, in Iraq, in tanti altri scenari nel mondo - passa comunque sempre molto sotto silenzio. Forse sono solo Papa Francesco e la Chiesa che levano questa voce…

R. – Purtroppo questa è una cosa dolorosa . E’ come se ci fosse la morte di “Serie A” e la morte di “Serie B”. Quelli di “Serie A” sono quelli che interessano il mondo dello spettacolo, dei media; i morti di “Serie B” sono i tanti innumerevoli poveri, la povera gente, che quotidianamente muore, ma soprattutto sono quelli la cui morte invece è eloquente, cioè quelli che muoiono per una causa a cui hanno consacrato e donato la loro vita. E, appunto, i nostri martiri sono purtroppo tante volte i morti di “Serie B”. A me sembra che uno degli scopi della veglia – e per questo anche l’intervento di Papa Francesco diventa quanto mai prezioso, perché dà ad essa una speciale autorità – sia invece quello di richiamare lo sguardo, l’attenzione su queste vite donate, su questo sangue versato, su questo sacrificio d’amore, proprio perché esso possa parlare alle donne, agli uomini del nostro tempo, possa gridare la denuncia contro il male e la violenza, e insieme anche testimoniare il perdono e il primato della carità.

D. – Perché si è scelta proprio la Veglia di Pentecoste?

R. – Credo, teologicamente, che la motivazione sia molto chiara: è lo Spirito che ci dà la forza di testimoniare Cristo fino in fondo; è nello Spirito che il martire vive di Cristo e muore per Cristo; ed è nello Spirito del Risorto che la fede cristiana riconosce la possibilità che il martirio divenga vittoria, cioè che il sangue versato sia fecondo per il futuro della fede e della carità nella storia.

D. – Personalmente, le chiedo se c’è un martire che sente più suo, nell’esperienza luminosa della sua vita, spesa proprio per la fede, della sua morte alla luce della fede…

R. – Sarebbero tante le persone da ricordare e io vorrei ricordare qualcuno che ho avuto modo di conoscere. Ricordo quando tenni un corso per i missionari nelle Filippine, nell’Isola di Mindanao, e uno dei missionari, Salvatore Carzedda, che era presente al corso, con cui abbiamo avuto momenti molto belli di dialogo, di confessione, qualche anno dopo è stato ucciso nell’ambito di quei conflitti legati a presunte motivazioni religiose e ad alcune posizioni di fanatismo islamico, che producono ahimè martiri, il cui sangue però sappiamo sarà fecondo. Una delle tante figure, quindi, anonime, perché poi spesso nessuno li ricorda, che ho avuto però la grazia di conoscere e per cui ho capito che il martirio è veramente una grazia che viene fatta a donne e uomini semplici, buoni che hanno fede in Dio, che certamente non vogliono il martirio, ma che alla fine lo accettano e lo vivono, perché hanno giocato la loro vita tutta per Gesù. Insomma, il martire come uno vicino a noi, come uno di noi, che proprio per questo dà forza alla nostra fragilità e speranza alla nostra fede.








All the contents on this site are copyrighted ©.