2015-05-25 16:59:00

In Vaticano un convegno per ripensare l'economia e la società


Si è aperta oggi in Vaticano la conferenza “Ripensare le caratteristiche principali della vita economica e sociale”, organizzata dalla Fondazione Centesimus Annus. Un dialogo di tre giorni che coinvolgerà studiosi, imprenditori, alti funzionari di vari Paesi per capire se sia immaginabile una nuova crescita non basata sul consumismo e per riflettere su quale ruolo potrà avere la dottrina sociale della Chiesa. Ma il modello economico occidentale può davvero essere migliorato? Eugenio Murrali lo ha chiesto all’economista Alberto Quadrio Curzio:

R. – La possibilità di migliorare c’è, purché siano sempre chiari  tre principi: il principio di libertà, il principio di responsabilità e la loro coniugazione nel grande principio che dovrebbe accomunare tutte le persone del genere umano, la solidarietà.

D. – La dottrina sociale della Chiesa come può contribuire a un tale cambiamento?

R. – La dottrina sociale della Chiesa ha una caratteristica pressoché unica: da un lato indica grandi principi che si riferiscono alla promozione della persona in un contesto di partecipazioni comunitarie, da un altro lato indica gli obiettivi di un agire concreto, con riferimento al quale la dottrina sociale indica la necessità di guardare ai contesti storici e ai contesti temporali specifici, infine, indica linee di azione che ovviamente non possono essere codificate una volta per tutte, ma debbono essere calibrate sul momento storico in cui ci si trova. Questo è, direi, l’insegnamento nella sua complessità. E ai nostri partecipanti della Fondazione è richiesto anche di contribuire all’indicazione dei problemi che si ritengono essere di maggiore rilevanza e di maggiore urgenza.

D. – Può esserci una nuova fase di crescita senza un consumo compulsivo?

R. – Deve esserci. Perché, riferendomi ai Paesi sviluppati, il periodo di una crescita trainata da consumi che vanno ben al di là non solo delle esigenze di vita normale, ma rispetto alle esigenze effettive di utilizzo dei beni consumati da parte delle popolazioni benestanti, non regge più, perché nelle popolazioni benestanti si rende necessario tenere conto sia dell’invecchiamento della popolazione, sia dell’utilizzo delle risorse naturali e ambientali, sia della necessità di formare sempre di più le giovani generazioni con riferimento a un mondo che sta cambiando. Quindi dal consumo compulsivo bisogna passare all’investimento per la crescita, e gli investimenti hanno orizzonti di lungo periodo: investimenti in istruzione, investimenti in sistemi ecocompatibili, investimenti per consentire di trovare un lavoro a chi non ne ha. Nei Paesi in via di sviluppo è non meno importante, perché se essi ripercorressimo i modelli che noi, in epoche passate, abbiamo seguito, ritengo che il loro sviluppo incontrerebbe ben presto problemi molto difficili, non solo ambientali, ma anche di divari tra ricchi e poveri che non sono poi facilmente riassorbibili.

D. – La nuova fase della crisi greca suggerisce all’Europa un atteggiamento più solidale?

R. – Nella prima fase un intervento molto deciso dell’Europa avrebbe potuto evitare un incancrenirsi della crisi stessa. Questa fase non è stata colta e ci si è trascinati in tempi più lunghi e con modalità diverse. La Grecia è stata comunque aiutata, la comunità finanziaria europea e anche il Fondo monetario hanno dato dei prestiti consistenti. Insomma, non è stata abbandonata a se stessa. Naturalmente, un Paese che viveva sopra il livello delle proprie risorse si trova in oggettive difficoltà e oggi ritengo che, pur mettendo rimedio ai punti di maggior sofferenza della popolazione greca, bisogna che la stessa popolazione intraprenda un cammino di ricostruzione del proprio Paese. Noi tutti abbiamo la libertà di agire, ma anche la responsabilità di costruire una comunità e credo che sia molto importante che la Grecia prenda atto anche di questo suo compito.








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