2015-05-26 13:26:00

Usa: maggior impegno in Iraq contro l'Is


Tra Stati Uniti e Iraq sembrano ricomposte le frizioni sulla gestione della lotta al sedicente Stato Islamico. Dopo le critiche all’esercito di Baghdad nel fronteggiare i jihadisti, in una telefonata al premier iracheno Al Abadi, il vicepresidente americano Biden ha riconfermato l’impegno di Washington ad appoggiare le forze locali. Intanto il presidente del parlamento iracheno parla addirittura di scioglimento dell’esercito. Ma che cosa occorrerebbe per fronteggiare in modo efficace l’Is? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali:

R. – Chiaramente servono forze di terra efficienti, che l’Iraq non è in grado di produrre e nel momento in cui le schiera in campo sono molto spesso percorse da tensioni di tipo settario, quindi accrescono – invece di diminuire – il contrasto con i sunniti, e quindi contribuiscono più a dividere che a unire. La situazione è abbastanza delicata: prima ancora che militare, è politica. Cioè, si tratta di capire che cosa fare una volta sconfitto lo Stato Islamico. Ma, a seconda di come lo si sconfigge, questo poi predetermina alcune soluzioni politiche, ma finora non è chiara la decisione su cosa fare dopo.

D. – Il sedicente Stato islamico sta operando praticamente su due fronti, in Iraq e in Siria. Qual è la situazione più pericolosa, secondo lei?

R. – La Siria ha meno appoggi dell’Iraq e, in compenso, Assad ha forze più agguerrite. In Iraq il pericolo, secondo me, non è tanto di una vittoria militare dell’Is, che mi sembra improbabile, quanto di un'ulteriore frammentazione del Paese. In ogni caso, comunque vada la situazione, è evidente che l’Is ha rimesso in discussione questi due Paesi e i loro confini. Ma è chiaro che se si incominciamo a ridiscutere tutte le frontiere, qui apriamo un vaso di Pandora molto pericoloso e molto probabilmente allunghiamo i tempi di soluzione della crisi. Ma è anche chiaro che non discutere le frontiere diventa sempre più difficile.

D. – Chi e che cosa c’è dietro allo strapotere dello Stato islamico?

R. – Ma c’è essenzialmente la fragilità e la debolezza della Siria e dell’Iraq, che fanno dello Stato Islamico qualcosa di più minaccioso e di più importante di quanto in realtà non sia. Abbiamo visto che ogni volta che l'Is si è scontrato con un esercito regolare, è stato fermato o è arretrato. Quindi non facciamolo più forte di quanto non sia. Chi c’è dietro? Beh, questo cambia a seconda delle situazioni tattiche. Il fatto è che in una situazione di questo genere, in cui non si sa quale sarà il futuro della Siria e dell’Iraq, si alimentano le aspirazioni di varie potenze regionali: della Turchia, dell’Iran, dell’Arabia Saudita … Quindi, a seconda di come queste pensano di poter giocare l’una contro l’altra, in alcuni casi questo potrebbe anche favorire l’Is.








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