Novantaquattro morti e 337 imprigionati: tanti sono i giornalisti che, solo tra il 2014 ed il 2015, hanno perso la vita o la libertà mentre operavano in zone di conflitto. A ricordare la loro importanza ed il loro “enorme contributo al mondo” è stato mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenuto ieri, 27 maggio, a New York, nell’ambito di un dibattito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dedicato proprio alla tutela dei giornalisti nelle situazioni di conflitto. Il servizio di Isabella Piro:
Reporter di guerra, “l’ancora di salvezza”
delle popolazioni
“Non ci sono scuse – afferma il presule - perché le
parti in causa di un conflitto non rispettino e proteggano i giornalisti”, poiché
“i media sono al servizio del bene comune” e “l’informazione è uno dei principali
strumenti della partecipazione democratica”, è un mezzo “fondamentale e necessario
per la comunità umana”. I giornalisti di guerra, continua mons. Auza, “offrono un’ancora
di salvezza a coloro che sono intrappolati dietro le linee nemiche o colpiti dal fuoco
incrociato”.
In un mondo interconnesso, salvaguardare
verità e bene comune
Ma il presule sottolinea anche che la rilevanza di
tali reporter “continua a crescere nel mondo attuale, sempre più interconnesso”. Il
progresso tecnologico, infatti, rende le comunità di tutto il mondo “smaniose di ricevere
notizie constanti dalle zone di guerra”. E se ciò è un bene per “la promozione della
solidarietà globale e degli aiuti umanitari nei confronti delle vittime”, allo stesso
tempo rappresenta “una difficoltà” quando si tratta di “valutare l’obiettività dell’informazione
ricevuta”. Infatti, spiega l’Osservatore permanente, le parti coinvolte nel conflitto
non possono ritenersi “fonti affidabili di un’informazione obiettiva”. Ed è qui che
emerge “la fondamentale importanza dei giornalisti dediti alla verità ed alla promozione
del bene comune”. Ed è sempre qui che si comprende “il grave rischio” che uno dei
contendenti voglia “specificatamente colpire un giornalisti fedele al suo dovere di
cronaca obiettiva”.
Conflitti perpetrati da attori non-statali,
servono più tutele per giornalisti
Certo, ricorda mons. Auza: la comunità internazionale
ha già a disposizione alcuni strumenti per tutelare i reporter di guerra, come la
Convenzione di Ginevra ed i suoi Protocolli addizionali. Tuttavia, ciò non è sufficiente,
dato che “nel 90 per cento dei casi, l’uccisione di giornalisti è avvenuta senza motivo
e meno del 5 per cento dei colpevoli è stato arrestato e processato”. Non solo: nel
contesto attuale, in cui “i conflitti vengono perpetrati da attori non-statali”, è
importante riesaminare il sistema di diritti e tutele dei cronisti nei conflitti,
per vedere “se esso è ancora adeguato o se, invece, sono necessarie nuove misure”.
In quest’ambito, la comunità internazionale può “giocare un ruolo importante nel fornire
assistenza tecnica e finanziaria ai Paesi che ne hanno bisogno per migliorare le politiche
di tutela dei reporter ed affrontare le violazioni di diritti già esistenti”.
Dovere del cronista: rispetto della cultura
e della religione locale
Ma anche i cronisti devono fare la loro parte, sottolinea
l’Osservatore permanente: essi devono, innanzitutto, “usare il tatto, in particolare
nelle situazioni in cui il dovere di essere obiettivi si scontra con il rispetto dei
valori culturali e del credo religioso di una popolazione coinvolta in una guerra”.
Infatti, spiega il presule, “mentre la mancanza di informazione obiettiva è un disservizio
alla verità e può mettere a rischio le vite e le politiche di un Paese, la mancanza
di rispetto per la cultura e la religione può esacerbare il conflitto stesso”.
Basta guerre! Nessuno deve rischiare più
la vita
Infine, mons. Auza rivolge un pensiero a tutti gli
operatori che “sono in prima linea affinché il grido delle vittime dei conflitti possa
essere udito e la voce di chi desidera la pace possa avere eco”. Ma soprattutto –
è l’auspicio finale del presule – “bisogna lavorare tutti insieme per bandire le guerre
ed i conflitti, affinché nessuno debba mai rischiare la vita e l’incolumità fisica”.
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