2015-05-31 13:46:00

Sud Sudan, una suora: guerra per il petrolio, civili in fuga


“Gli abitanti sono tutti fuggiti e hanno cercato riparo nella base dell’Onu oppure nei villaggi più lontani, nella foresta”. E’ la denuncia di mons. Roko Taban, amministratore apostolico di Malakal, capoluogo dell’Alto Nilo, in Sud Sudan, che - attraverso l’agenzia Misna - descrive la situazione nella diocesi e nel giovane Paese africano, ostaggio di un conflitto civile dal dicembre 2013, innescato dai combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar. Nei giorni scorsi l’Onu aveva denunciato che oltre 4 milioni di sud sudanesi hanno bisogno di aiuto alimentare urgente, a causa delle conseguenze delle violenze in atto da un anno e mezzo. Per una testimonianza, ascoltiamo suor Anna Gastaldello, missionaria comboniana a Juba, intervistata da Giada Aquilino:

R. - Ci sono stati combattimenti a Leer nello Unity State e a Malakal nell’Upper Nile.

D. - Perché in queste, che sono zone petrolifere, si continua a combattere?

R. - Pensiamo che l’opposizione voglia bloccare il flusso di petrolio perché il governo rimanga senza denaro per continuare la guerra.

D. - Le ultime notizie dicono che ancora una volta ci sono stati combattimenti, in particolare nella zona di Malakal…

R. - Le ultime notizie da Malakal parlano di un combattimento riguardante le forze di una milizia Shilluk - guidata dal generale Olony, che prima si era messo dalla parte del governo e poi si è schierato con l’opposizione – che ha aiutato i ribelli a passare il fiume Nilo, per attaccare e occupare Malakal. In un secondo momento, il governo ha riattaccato ed ha riconquistato la zona. Adesso sembra che la situazione sia calma. Ma a Malakal, in città, non c’è nessuno. Tanti abitanti sono scappati dall’altra parte del fiume, tanti sono all’interno del campo sfollati che si trova nella base delle Nazioni Unite, dove c’è anche una nostra consorella, suor Elena Balatti.

D. - Che notizie giungono?

R. - Gli sfollati sono tanti e per il momento sembra che ci sia abbastanza per aiutarli, ma non so fino a quando.

D. - È ormai da dicembre 2013 che il Sud Sudan vive un conflitto civile. Che conseguenze ci sono soprattutto in quegli Stati dove si continua a combattere?

R. - Quegli Stati sono nel caos più completo; la povera gente continua a scappare da un angolo all’altro: si rifugiano in un posto, poi ricominciano i combattimenti e scappano da un’altra parte e così via. Inoltre, la situazione economica generale del Paese è collassata, i prezzi di cibo e altri prodotti sono altissimi, per cui l’intera popolazione del Sud Sudan in questo omento sta soffrendo molto.

D. - Quando si parla della crisi economica che attraversa il vicino Sudan si dice che una delle ragioni è legata al fatto che i pozzi petroliferi una volta controllati da Khartoum ora sono geograficamente in Sud Sudan. Perché allora le autorità di Juba non riescono a trarre profitto da queste risorse?

R. - Il problema è che ora, con la guerra, quasi tutti i pozzi petroliferi sono chiusi. L’unico pozzo che sta ancora lavorando è quello di Paloch che si trova nell’Upper Nile: si sa che la settimana scorsa i ribelli avevano tentato di attaccarlo per farlo chiudere, ma sono stati fermati a Melut dalle forze del governo. Quindi c’è solo questo pozzo petroliero che lavora e la guerra costa: il governo deve pagare i soldati, comparare le armi. Da non dimenticare poi che c’è anche il problema della corruzione…

D. - Anche nelle ultime ore, lì a Juba, avete pregato per il futuro del Sud Sudan. Quali speranze ci sono?

R. - Noi qui a Juba, come religiosi, siamo presenti con 28 congregazioni. Ci troviamo regolarmente per pregare per la pace; e anche i cittadini pregano tantissimo per questo dono.








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