2015-06-09 12:57:00

La "magia della musica" insegnata dai Gesuiti agli indios


La straordinaria esperienza di educazione alla musica, e non solo, vissuta tra il 17.mo e il 18.mo secolo dai Gesuiti nelle loro missioni in Sudamerica – denominate “Riduzioni” – è riecheggiata lo scorso 2 giugno in Vaticano nel concerto-conferenza organizzato dalla Pontificia Commissione per l’America Latina, in collaborazione con le ambasciate presso la Santa Sede di Bolivia, Ecuador e Paraguay, in vista del viaggio apostolico di Papa Francesco in quei Paesi. Il concerto “La Magia della musica nelle riduzioni indo-gesuitiche del Sud America” è stato interpretato dal "Domenico Zipoli Ensemble”. Il direttore dell’Ensemble, Giorgio Fornasier, ne parla al microfono di Patricia Ynestroza:

R.  – La storia  dell’Ensemble è legata alla storia di questo fenomeno straordinario, unico nella storia dell’umanità. Una delle caratteristiche delle Riduzioni gesuitiche del Sudamerica era proprio che i Gesuiti che avevano creato queste città ideali nell’arco di 150 anni, dal 1609 al 1767, e avevano fatto crescere culturalmente gli indios guaraní, portati fuori dalla foresta a un livello addirittura protoneolitico a un livello culturale europeo, creando scuole, creando opifici, insegnando loro a essere imprenditori ma soprattutto creando cultura tramite conservatori di musica. I bambini, fin in tenera età, venivano cresciuti col canto, la danza, la musica, imparavano a suonare gli strumenti ed eseguivano nelle chiese delle Riduzioni tutte le parti liturgiche. Ma non solo, perché accompagnavano anche le feste con la loro musica e addirittura giravano per i campi con piccoli ensemble per allietare il lavoro degli indios che lavoravano nei campi. All’interno delle Riduzioni era una comunità molto aperta, molto libera, dove lavoravano due giorni alla settimana per la comunità e il resto per la loro famiglia. Questa era una cosa straordinaria.

D. – C’è stato un momento molto particolare di questo concerto-conferenza in cui avevate uno strumento particolare?

R. – Verso la fine del concerto, eseguiamo un brano molto particolare che è un "canone inverso", un brano che viene eseguito da due strumenti diversi: uno lo suona con la partitura in un verso e l’altro suona la stessa partitura però capovolta. L’abbiamo fatto con un oboe e un violino, ma il violino era un violino particolare e qui è uscita la capacità, l’abilità manuale degli indios. Infatti, abbiamo usato un violino guarayos trovato nella foresta, costruito da un indio che ha imparato l’arte del liutaio dal suo papà che naturalmente l’aveva imparata dal  nonno, dal bisnonno – una tradizione di famiglia – e ancora usavano gli stampi originali dei gesuiti. Un violino rozzo, costruito di legno di cedro dell’orchestra, con le corde originali che erano di budello di scimmia. Quindi, è stata una grande emozione perché abbiamo riconosciuto sia la capacità di costruire un brano così difficile da un punto di vista armonico e di contrappunto – che è un canone inverso scritto da un indio che si chiamava Julian Atirahù – sia la particolarità di uno strumento costruito ai giorni nostri, seguendo la tradizione dei gesuiti, da un liutaio indio.








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