2015-06-15 13:26:00

Il presidente sudanese al Bashir lascia il Sudafrica


Il presidente sudanese, Omar al Bashir, ha lasciato il Sudafrica. In serata è arrivato a Khartoum, dove e' stato accolto da componenti del governo e da
un gruppo di sostenitori mobilitati dal partito di governo, il National Congress Party. Su al Bashir pesano due mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità e di genocidio. Benedetta Capelli ha intervistato Antonella Napoli, esperta dell’area e autrice del libro “Il mio nome è Meriam”, edizioni Piemme:

R. – La vicenda è scandalosa per uno Stato, un Paese, che fa parte della Corte penale internazionale e che quindi era tenuto ad arrestare Bashir, su cui pende un mandato di cattura internazionale. Ma forse è anche più scandaloso il silenzio dei Paesi occidentali, dei grandi Paesi, che continuano a permettere ad un accusato di genocidio di governare un Paese importante come il Sudan.

D. – Il Sudan senza Bashir che Paese sarebbe?

R. – Sarebbe diverso se ci fosse la possibilità di dare corso a politiche diverse, dando spazio magari ad altre realtà. Esiste, infatti, in Sudan una voce diversa, anche all’interno dello stesso National Congress. Purtroppo continua a prevalere la linea di chi vuole una 'sharia' più intransigente. Si vuole mantenere un controllo sul Paese, perché effettivamente un rischio c’è: Bashir ha un carisma, una personalità forte, riesce a tenere insieme una realtà molto frastagliata. Ma dovrebbe esserci una volontà reale di confrontarsi con l’opposizione, con la società civile, che al momento però non sembra concreta.

D. – Quali sono gli interessi in gioco da parte della comunità internazionale, che sempre è stata divisa su al Bashir?

R. – E’ stata sempre divisa sostanzialmente perché c’è un blocco che tutela e protegge Bashir per interessi, prima legati al petrolio, oggi magari ad altre risorse. Si è scoperto di recente che ci sono grandi giacimenti d’oro in Sudan. Questo blocco è caratterizzato fortemente dalla Cina, che - ricordiamo - al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è membro permanente e quindi ha il diritto di veto, cosa che ha più volte impedito di potenziare la missione dispiegata in Sudan e che oggi rischia anche di essere depotenziata, se non addirittura chiusa, proprio perché Bashir si è sempre contrapposto all’idea di avere una forza di pace nel Paese. Si tratta di una missione di pace che potrebbe fare molto di più e garantire una stabilizzazione dell’area. Parlo in particolare del Darfur, dove è ancora in corso un conflitto. Ci sono altre realtà, come lo Stato del Nilo Blu e il Kordofan, dove il governo sudanese continua a contrastare i movimenti della ribellione con azioni di guerra, coinvolgendo anche i civili. Mi riferisco pure ad altri Paesi come la Russia, come l’Ucraina, che hanno in qualche modo foraggiato con armi, nonostante ci sia un embargo di vendita delle armi al Sudan. Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti, che invece hanno avviato una trattativa con il governo sudanese, per portarlo su posizioni meno oltranziste. Ad esempio, quando c’è stato il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan.

D. – Com’è la situazione dal punto di vista sociale? Come vive la popolazione in Sudan?

R. – La situazione sociale e umanitaria è al tracollo. Mentre nelle grandi città c’è una difficoltà dovuta anche alla crisi, nelle periferie, nelle aree lontane dalle grandi città, dove non arriva l’aiuto umanitario, la situazione è devastante: non c’è assistenza sanitaria, non arrivano più nemmeno gli aiuti umanitari primari, come cibo e acqua. Parliamo proprio di un disastro umanitario ormai fuori controllo, proprio perché non ci sono ong che possano dare assistenza a queste realtà lontane, decentrate. L’opinione pubblica deve capire, e anche la comunità internazionale, che il problema del Darfur, come delle altre realtà che vivono situazioni simili, non è superato, anzi lo si ignora, ma continua a degenerare ed è totalmente fuori controllo.  








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