2015-06-20 12:13:00

Mali: a Bamako la firma dell'accordo tra governo e tuareg


E' stato firmato oggi a Bamako la firma dell’accordo di pace tra governo del Mali e Coordinamento dei movimenti dell’Azawad, che raggruppa le formazioni armate del nord, a maggioranza tuareg. Nel maggio scorso le autorità maliane avevano siglato l’intesa ma i ribelli avevano chiesto ulteriori garanzie per l’Azawad. Con la mediazione dell’Algeria si è giunti ad un nuovo testo per la riconciliazione. In segno di distensione, i gruppi pro-Bamako si sono ritirati da Menaka, località settentrionale che le milizie filogovernative avevano conquistato a fine aprile, strappandola al controllo dei ribelli del Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad. Sull’accordo in Mali ascoltiamo Marco Di Liddo, studioso dell’area e analista del Centro Studi Internazionali, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Come la storia del Mali e delle insurrezioni tuareg insegnano, questo accordo può essere tutto e può essere niente. In passato - negli anni Sessanta, Ottanta, Duemila - ogni qualvolta ci sia stata una rivolta tuareg il governo e queste componenti tribali sono riuscite a trovare un accordo, che però è poi risultato nel tempo molto fragile, perché mancava di contenuti politici, perché non era applicato nelle sue direttive sociali, economiche e di tutela dei diritti delle minoranze, rappresentando solo una sorta di esteso cessate-il-fuoco. Anche in questo caso l’accordo mantiene tutti questi dubbi. Quindi c’è il rischio che rappresenti una prolungata cessazione delle ostilità militari, ma che - a livello politico - esponga invece il fianco a molte vulnerabilità. Senza l’applicazione di un piano di integrazione, di riforma e di espansione dei diritti civili, politici ed economici presso la comunità tuareg, c’è il rischio che nel giro di qualche anno si torni alla situazione che ha fatto scoppiare la guerra nel 2012.

D. – Di fatto, poi, quali sono le rivendicazioni dei tuareg?

R. – Innanzi tutto di tipo culturale ed identitario. I tuareg vogliono essere riconosciuti come una comunità paritaria rispetto alle altre comunità etniche che si trovano in Mali. Da questo punto ne deriva poi uno politico, che è quello di una maggiore partecipazione alla vita pubblica e quindi al meccanismo decisionale all’interno del governo di Bamako. In questo senso, i tuareg maliani vedono con interesse l’esempio del Niger, in cui i tuareg nigerini sono riusciti - dopo l’insurrezione del 2007-2009 - a creare un equilibrio e ad ottenere una sorta di autogoverno locale nelle regioni del nord, dove rappresentano la maggioranza. E poi ci sono – ovviamente – le condizioni economiche: i tuareg chiedono che vengano tutelate le loro prerogative che attengono al diritto su determinate terre per quanto riguarda il pascolo o il diritto di passaggio senza tassazioni in determinati punti del Paese.

D. – Il Mali vive dunque una profonda crisi politico-militare dal 2012. Quali fattori interni ed esterni hanno poi contributo a questa instabilità?

R. – I fattori interni sono un contesto economico molto fragile e una conseguente difficoltà di relazione tra la popolazione tuareg, le tribù del nord, e le popolazioni del sud. In questo fattore di tensione è stato abilissimo il panorama jihadista nordafricano ad inserirsi e quindi a convincere le tribù tuareg che fosse molto più proficuo accogliere una agenda di tipo jihadista che continuare con le negoziazioni con Bamako e con il resto della comunità internazionale. E ancora oggi questa è la partita fondamentale per il governo di Bamako e per le Nazioni Unite: cercare cioè di riportare i tuareg ad un tavolo negoziale, sottraendoli così alle seduzioni pericolose del panorama terroristico e jihadistico nordafricano.








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