2015-06-21 12:58:00

Il Papa pranza con i senza fissa dimora e gli immigrati


Per il momento del pranzo Papa Francesco ha scelto l'incontro con alcune persone senza fissa dimora. Amedeo Lomonaco ha intervistato Pierluigi Dovis, direttore di Caritas Torino:

R. – Le persone senza dimora in città sono aumentate e siamo intorno alle duemila unità. All’interno di queste categorie di persone senza dimora – ahimè! – sono aumentati coloro che sono in strada non per scelta personale, tipo l’antico clochard, e non per la difficoltà prodotta, ad esempio, dall’uso e dall’abuso di sostanze, cosa che capitava fino ad alcuni anni fa: sono impiegati. Abbiamo anche di qualche giornalista e abbiamo anche persone con carriere lavorative molto significative che sono finite in strada. Il Santo Padre fa questo pranzo con alcune persone in difficoltà e fra queste alcuni senza dimora che vengono proprio da percorsi che non sono certamente i percorsi classici della vita di strada.

D. – un incontro molto toccante?

R. – Sì, anche perché insieme a loro è presente una famiglia rom parecchio numerosa e alcuni ragazzi che vengono dal carcere minorile della nostra città. La scelta del Papa è una scelta che, a livello di segno, è molto importante: non pranza con le autorità civili, neanche con quelle religiose; pranza con gli ultimi, perché è dagli ultimi che può ripartire davvero la ricostruzione della nostra società. E noi qui, a Torino, lo stiamo vedendo, perché abbiamo trovato, in questi ultimi anni, diverse istituzioni che si sono aperte moltissimo agli ultimi, dando loro davvero un aiuto molto interessante. Ne cito una per tutte: il Teatro Regio, che è il nostro grande teatro lirico, da due anni a questa parte, in modo ripetitivo, invita gruppi di persone senza dimora e poveri di vario tipo e di varia specie – gratuitamente, evidentemente – ad assistere a spettacolo operistici oppure a concerti. All’inizio sembrava un po’ una cosa fuori dal tempo, perché quando le persone non hanno da mangiare e non hanno di cosa vestirsi, tu gli vai a proporre di andare a vedere un’opera al Teatro Regio… Invece abbiamo capito che questa proposta è una proposta che aiuta le persone a sentirsi persona e ad avere ancora il coraggio di affrontare il futuro con dignità o con la massima dignità possibile. Il segno del Papa va ad inserirsi all’interno di piccoli segni che sono partiti in questi ultimi anni nella città e che ci fanno capire davvero che l’attenzione agli ultimi – quando non è pietismo – diventa davvero un punto di partenza per una nuova società.

D. – Qual è oggi il volto di questa città? Quali le sue emergenze e le sue sfide?

R. – E’ una città in profondo cambiamento, che in questi ultimi anni ha – da una parte – subito la crisi economica e finanziaria, ma che – dall’altra parte – ha anche cercato un rilancio complessivo non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista sociale. Ci sono, però, dei problemi che rimangono e che sono emergenti: il grande problema è che inerisce il mondo del lavoro, anche se ci sono piccoli spiragli soprattutto sulla capacità di autoimprenditorialità. C’è in questo momento un problema, quindi, ancora di ampliamento della fascia di popolazione in situazione di povertà o di vulnerabilità e fragilità sociale, che – mal contata – arriva a contare il 20 per cento della popolazione, sia italiana che straniera. Ma d’altra parte è una città dalle grandi risorse di solidarietà, come si è visto in questi ultimi due anni nei quali sono state aperte diverse mense per i poveri, luoghi di accoglienza per le persone in difficoltà… Insomma se da una parte c’è un aspetto – diciamo così – grigio di questa città, il sole non è assolutamente tramontato.

D. – Quali sono le periferie di Torino, soprattutto esistenziali, verso cui Caritas concentra i propri sforzi?

R. – In questo momento la grande periferia è anzitutto la famiglia in difficoltà. Famiglie che vivono la difficoltà della perdila del lavoro e, di conseguenza, della perdita della casa. Su questo stiamo investendo molte risorse e devo dire che grazie anche ad una forte interazione con gli enti pubblici, stiamo riuscendo a risolvere molte delle questioni problematiche: gli sfratti esecutivi l’anno scorso solo a Torino sono stati 4.500. Un’altra periferia esistenziale è quella dei genitori soli, che si ritrovano oltre ad essere soli, perché separati, anche in situazioni di difficoltà economica. Il nostro sforzo è quello di aiutarli a vivere comunque la loro genitorialità con i figli più piccoli. Sono un po’ queste le grosse periferie.

D. – Come è cambiato in questi anni, e negli ultimi specialmente, il volto della povertà a Torino? Rispetto ad altre città italiane, la progressiva e costante perdita di posti di lavoro è stata più traumatica, più veloce: questo ha portato improvvidamente molte famiglie a cadere proprio nella povertà…

R. – Sì, esattamente! Torino, tra le città del Nord Italia, è quella che ha sentito più pesantemente gli effetti della crisi, anche perché problematiche erano già partite prima del 2008. Forse è la città che più di tutte ha visto un impennarsi della figura dei nuovi poveri e cioè di quella classe media o medio basse che repentinamente si è impoverita perché o ha perso o ha visto ridimensionato in modo molto serio il tema del lavoro e quindi degli ingressi economici della famiglia.

Tra quanti hanno pranzato con Papa Francesco anche immigrati, e tra questi, alcuni profughi. Al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore dell'Ufficio per la pastorale sociale dei migranti, Sergio Durando:

R. – L’incontro è prima della partenza. Un incontro che è molto sentito, un incontro che sappiamo esprime anche la sensibilità di Papa Francesco, che il suo primo viaggio pastorale aveva scelto di farlo a Lampedusa, che è d’altra parte d’Italia; oggi Papa Francesco in una città del nord incontra, in qualche modo, col la  città, nelle sue varie articolazioni, persone che sono scappate da varie parti del mondo e che, attraverso viaggi molto complessi, sono arrivati a Torino.

D. – Come Lampedusa, Torino e in particolare la Chiesa, accolgono con grande generosità i profughi.  Ma la solidarietà non basta…  Quali oggi le priorità?

R. – Sappiamo che c’è una difficoltà da un punto di vista nazionale ad articolare un progetto efficace, che riesca a dare una risposta senza scadere continuamente in soluzioni di emergenza. Noi crediamo che l’accoglienza debba essere organizzata su tutto il territorio in modo capillare, e che si debbano evitare situazioni del tipo: “Io non li prendo!”; “Io ne ho già troppi!”; “Tocca a te!”; “Che ci pensino altri”… Ciascuno deve essere, in qualche modo, chiamato alle proprie responsabilità. Sapendo che i dati sono di oltre 50 milioni di persone che scappano da situazioni differenti in diverse aree del mondo, nel 2014 l’Italia ha visto approdare sulle proprie coste 170 mila presenze: quindi, da oltre 50 milioni a 170 mila presenza, il numero non è poi così elevato.

D. – La soluzione dell’ospitalità in famiglie, in comunità potrebbe anche essere ottimale proprio per superare l’oggi che è di malaffare e che purtroppo abbiamo visto…

R. – Torino ha una esperienza avviata dal 2008, un progetto che si chiama “Rifugio diffuso”, proprio con questa idea di rendere l’accoglienza più diffusa attraverso famiglie. Anche quest’anno la pastorale migranti ha proposto l’accoglienza di 10 rifugiati in 10 famiglie. L’esperienza che si è avviata è un’esperienza molto interessante, perché una famiglia che ha la disponibilità di una camera per accogliere l’altra persona riesce poi anche a seguire bene queste persone e quindi ad accompagnarle in un percorso di integrazione.

D. – Torino è stata nel dopoguerra la meta di molti emigranti, soprattutto meridionali. Com’è cambiata negli ultimi anni la realtà dell’immigrazione proprio nel capoluogo piemontese e quali sfide pone?

R. – Torino è una città davvero particolare ed emblematica da questo punto di vista. Nel dopoguerra era una città che aveva un po’ più di 400 mila abitanti, che è passata nel 1972 ad oltre un milione e 200 mila persone. Quindi a Torino sono arrivate, in particolare dalle altre regioni italiane, 800 mila persone. Oggi Torino accoglie immigrati non solo da regioni italiane, ma anche da altre parti del mondo e il numero è di 150 mila. Una presenza importante, una presenza che in qualche modo sta nuovamente cambiando la città nelle sue varie espressioni: dalla scuola alle strade, ai mezzi pubblici, ai negozi, ai luoghi di culto, alle espressioni culturali che in questa città ci sono. La sfida è certamente quella di fare in modo che non nascano dei ghetti, che non nascano delle contrapposizioni: la sfida è quella di lavorare sulla coesione sociale, per creare sempre di più delle città che siano comunità, in cui le diversità riescano in qualche modo a stare insieme, a condividere e a valorizzarsi reciprocamente.








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