2015-06-21 11:52:00

Ospedale Bambino Gesù: "Vogliamo globalizzare la solidarietà"


“Globalizzazione della solidarietà. Raggiungere i bambini più bisognosi”, questo il titolo con cui l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha presentato in un convegno  il bilancio di circa 200 missioni sanitarie in 20 Paesi. L’attività internazionale ha permesso oltre 30 mila ricoveri e 8.000 interventi chirurgici, ma ha soprattutto trasferito alle strutture coinvolte le competenze necessarie per proseguire il lavoro in autonomia. Il servizio di Eugenio Murrali:

Vietnam, Cambogia, Haiti, Venezuela, sono solo alcuni dei numerosi Paesi che l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha raggiunto con un coraggioso programma internazionale. Quest’impegno ha permesso l’esportazione di protocolli clinico-chirurgici e di tecniche per la cura di molti bambini affetti da gravi patologie. L’Ospedale romano ha inoltre accolto, spesso grazie ai suoi sostenitori, i giovani pazienti che dovevano essere sottoposti alle operazioni più delicate. Il presidente del Bambino Gesù Mariella Enoc ci spiega lo spirito di queste iniziative:

"Globalizzare la solidarietà, che, nel caso di un ospedale come il nostro, vuol dire soprattutto fare formazione, trasferire conoscenze. Perché è un modo che rende poi autonomi "

Uno dei progetti più riusciti è l’avvio del centro di Neuroriabilitazione nell’Ospedale Italiano di Kerak, in Giordania, di cui ci parla la missionaria comboniana suor  Adele Brambilla:

R. - Questo centro è veramente un punto di incontro, un progetto che apre le porte al dialogo interreligioso nella sua quotidianità, un dialogo di vita in un mondo dove c’è solo il 3% di presenza cristiana. Entrare nell'universo dei bambini ammalati ci mette in contatto con le famiglie e ci dà veramente la possibilità di trasmettere loro quella carezza di Dio che dice il Papa, quella compassione di Dio, di cui oggi veramente c'è bisogno. Voi sapete che la Giordania, pur nella sua fragilità e ristrettezza di possibilità, ha aperto le sue porte e i suoi confini, accogliendo più di 700-800 mila rifugiati, che sono ospiti nelle diverse case che trovano: un appartamento di tre locali può accogliere anche tre famiglie… Il nostro ospedale è apertp a questi rifugiati e offre la possibilità di una cura. Certamente è un esodo che non finisce, è un esodo che ha inciso molto sulla nostra struttura e ci auguriamo veramente di poter continuare, pur dovendo denunciare adesso una nostra ristrettezza e quasi – possiamo dire – una impossibilità finanziaria. Ma noi ugualmente continuiamo questo servizio, perché lo sentiamo davvero prioritario. La gente è toccata, la gente è ferita da quanto sta avvenendo sia in Siria che in Iraq: le persone arrivano disperate, attraversano il deserto e cercano veramente un punto di accoglienza.

D. – Nel vostro centro di riabilitazione come operate?

R. – Ogni 3-4 mesi viene un team dell’Ospedale Bambino Gesù che, per prima cosa, verifica e valuta o rivaluta i bambini bisognosi di attenzione, stabilendo poi un programma riabilitativo. Ci sono anche due dottori fisioterapici che stanno formando le nostre ragazze, così che il programma di riabilitazione possa essere continuato nel tempo una volta che loro si assenteranno.

D. – Un anno fa il Papa era in Giordania: cosa vi ha lasciato questa visita?

R. – Ha lasciato un grande segno di condivisione, di umanità e, soprattutto, di vicinanza. Ha anche svegliato le coscienze di fronte a questa grande emergenza che la Giordania sta attraversando, dicendo a tutti: “Non dimenticatevi di questo Paese”.








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