2015-06-24 15:49:00

Dietrofront dell'Ungheria: nessuna sospensione di Dublino


Dietrofront sull’immigrazione da parte dell’Ungheria, che oggi ha smentito di voler sospendere unilateralmente la Convenzione di Dublino così come invece annunciato ieri. L’Ue aveva sollecitato chiarimenti da Budapest circa la decisione e il governo austriaco aveva convocato l’ambasciatore ungherese per chiedere spiegazioni ufficiali. Vigilia, dunque, infuocata di un Consiglio europeo, domani e venerdì, che sarà quasi interamente dedicato al tema dell’immigrazione. Il timore resta quello di non arrivare a una soluzione sui criteri di redistribuzione dei migranti tra i Ventotto.  Francesca Sabatinelli ha intervistato Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir):

R. – Io direi in queste ultime settimane la situazione è precipitata per quanto riguarda una risposta comune europea al dramma dei rifugiati e al diritto d’asilo, in Europa e nei singoli Stati membri. Abbiamo segnali che vanno dalla Grecia all’Ungheria, alle frontiere tra l’Italia e la Francia, con la Svizzera e con l’Austria: tutto insieme fa capire che una risposta politica è ancora assolutamente da cercare. Non abbiamo molto ottimismo, devo dire, riguardo a questo summit dei capi di Stato e governo, domani e venerdì, perché sappiamo già che nell’agenda di questa conferenza ci sono innanzitutto misure di contrasto e misure repressive nei confronti dei trafficanti di persone nelle acque internazionali del Mediterraneo. Va benissimo contrastare il lavoro sporco e i trafficanti, però se alle persone, ai rifugiati, richiedenti asilo, ai migranti non si aprono canali alternativi, questa misura alla fine produce solamente più disperazione nelle persone che per forza devono cercare altre vie di accesso all’Europa, altre vie che presumibilmente sono più lunghe, più costose e ancora più rischiose.

D.  – Alcune forze politiche italiane hanno presentato proposte di legge per creare centri di identificazione gestiti dalle Nazioni Unite in luoghi di transito in Africa. Un caso tra tutti, quello del Niger. Voi che ne pensate?

R. – Dipende di che cosa stiamo parlando. Certamente, non abbiamo bisogno in Africa di nuovi campi profughi. Ci sono già tanti immensi campi profughi dove le persone a volte sono confinate per anni e anni, e a volte fino alla seconda generazione. Questa non può essere la risposta. Quando noi parliamo di vie legali di accesso all’Europa, pensiamo a punti di contatto in Paesi terzi, certamente anche il Niger, dove le persone possono rivolgersi avere informazioni, dove possono presentare una richiesta di protezione, una richiesta per ottenere un visto umanitario per arrivare in Europa. Innanzitutto, quelli che hanno parenti o comunità in uno degli Stati membri, che è tutta un’altra cosa, è una tra le vie di accesso legale in Europa e su questo siamo fortemente impegnati.

D. – Il Cir quindi che risposta concreta pensa sia giusto che l’Europa dia?

R. – Due ordini di risposta. La prima riguarda la possibilità per un rifugiato riconosciuto in uno degli Stati membri di poter lavorare e prendere residenza in qualunque altro Stato dell’Unione. Questa non è una proposta neanche così nuova e a questo punto però mi sembra ovvio che questa sia una misura per superare gli effetti dannosi del sistema Dublino. La seconda richiesta riguarda vie di accesso legale, l’uso dello strumento del diritto umanitario, programmi di reinsediamento di rifugiati già riconosciuti dalle Nazioni Unite in Paesi terzi e aprire la possibilità per richiedere protezione non solo quando uno è arrivato fisicamente in Europa, ma già prima presso le rappresentanze diplomatiche.








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