2015-06-24 12:30:00

Don Di Piazza racconta l'immigrazione via terra in Friuli


I flussi migratori non solcano soltanto il mare, ma seguono anche rotte di terra. Da giorni i controlli alla frontiera dell'Italia con l’Austria e con la Slovenia si sono fatti più intensi da parte della polizia italiana. Circa 2.500 i profughi presenti nella regione Friuli-Venezia Giulia, la maggioranza arrivati nell’anno in corso. Le aree più coinvolte sono Trieste, Udine e Gorizia. Insufficienti i luoghi di accoglienza finora esistenti e, tra gli abitanti, non manca chi protesta per ragioni di sicurezza e di degrado cittadino. Sul clima che si vive nell’area nordorientale Adriana Masotti ha sentito don Pierluigi Di Piazza, fondatore e presidente del Centro di accoglienza e di promozione culturale Ernesto Balducci di Zugliano in provincia di Udine:

              

R. – L’arrivo di profughi, anche via terra, suscita nelle popolazioni del Friuli Venezia Giulia lo stesso atteggiamento che si può leggere in tutto il nostro Paese e in Europa. Cioè, c’è una preoccupazione, che io vivo personalmente e quanti cercano di accogliere, una preoccupazione anche addolorata per certe reazioni che comunque vanno analizzate. Perché certamente la crisi, che non è solo economica ma è di riferimento, di un progetto di umanità che ci veda uniti, è più facilmente ‘respingente’. Però questo diventa anche qui da noi un’ emotività irrazionale che poi è interpretata da certa politica che da questa emotività trova forza per assumere determinati atteggiamenti, determinate parole che a volte sono disumane. Gli arrivi certamente sono in aumento, ma comunque su una popolazione – come quella del Friuli Venezia Giulia – di un milione e 200 mila abitanti, una presenza di immigrati che è sotto le 3 mila persone credo che non dovrebbe suscitare questo allarmismo, rispetto a una questione che è drammaticamente epocale. Ci vorrebbe certamente un altro atteggiamento interiore, prima che istituzionale e politico, perché io credo che le leggi e le scelte politiche siano espressione di una cultura.

D. – Chi sono gli immigrati o i profughi che arrivano attraverso il confine austriaco o sloveno, e qual è il percorso che compiono una volta arrivati in Friuli Venezia Giulia?

R. – Arrivano soprattutto persone provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan; arrivano dopo percorsi incredibili, attraverso i Balcani, l’Ungheria, l’Austria e poi la Slovenia, fino ad arrivare qui. Qui poi succede che sostano nelle città, all’aperto, nei parchi, dormendo in luoghi abbandonati e suscitando così un allarmismo che – ripeto – è sproporzionato rispetto anche al numero delle presenze. E questo perché c’è uno scarto tra arrivo, presentazione della domanda in questura, poi l’accoglienza in questura per una formalizzazione della domanda e il riconoscimento della persona  ecc… Adesso si stanno prevedendo dei piccoli centri di accoglienza per cui queste persone non sostino così, in modo provvisorio e precario e certamente con situazioni che umanamente lasciano molto a desiderare. Ora, da questi centri dovrebbero poi essere collocati in situazioni più umane e vivibili in cui possano seguire un percorso.

D. – Le persone che arrivano in Friuli Venezia Giulia – abbiamo detto afghani, pakistani – vogliono rimanere in Italia o chiedono di andare da altre parti?

R. – Tanti pensano di andare, di procedere verso la Francia, verso l’Inghilterra, verso la Germania, quindi vivono questa esperienza qui nel nostro territorio come un passaggio.

D. – Lei ha fondato e gestisce il Centro di accoglienza “Ernesto Balducci”. Qual è l’esperienza che sta vivendo con queste persone?

R. – L’esperienza è positiva, ma l’accoglienza è anche ardua, quindi se posso dire umilmente, il Centro  è un piccolo segno, quantitativamente, ma nel territorio è un segno importante per la direzione che da anni sta indicando. Ardua perché accogliere non è solo dare un tetto, il cibo e un ambiente, è entrare in relazione e quando si entra in relazione profondamente con le persone, emergono tutte le differenze con cui convivere. Una grande ricchezza, dunque, ma anche una grande impresa umana, culturale e spirituale, ma io testimonio umilmente e con passione che questa prospettiva è possibile.








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