2015-06-26 15:43:00

Birmania. Parlamento: no a presidenza per Aung San Suu Kyi


“Non sono sorpresa”: questo il commento di Aung San Suu Kyi dopo la bocciatura, ieri in Birmania, di un emendamento alla Costituzione che avrebbe potuto aprire la strada alla presidenza alla Premio Nobel per la Pace e leader del partito di opposizione, la Lega nazionale per la democrazia. Lo stop al suo percorso verso la più alta carica del Paese lo hanno posto i militari che ancora oggi controllano saldamente il potere. La Camera dei deputati ha respinto il progetto di emendamento che si proponeva di annullare l’articolo che vieta "a chiunque sia sposato con un cittadino straniero o abbia figli con passaporto estero" di correre per la carica di presidente della Repubblica. Aung San Suu Kyi è vedova di un cittadino britannico, con due figli con passaporto di Londra. Francesca Sabatinelli ha intervistato Cecilia Brighi, presidente della Associazione “Italia-Birmania Insieme:

R. – In parte, tutti si aspettavano che ci fosse un accordo anche con i militari, oltre che con il partito di governo. Il dato di fatto importante è che questo blocco di militari ancora detiene il potere vero nel Paese, non solo quello politico ma anche quello economico. Cioè, loro hanno in mano tutti i settori prevalenti più importanti del Paese: gas, petrolio, miniere ecc...

D. – L’accaduto conferma i dubbi circa la reale volontà di voler proseguire nel cammino verso la democrazia, iniziato nel 2010…

R. – Il dubbio nasce dal forte potere dell’esercito che, ricordo, non ha soltanto il potere di veto sui cambiamenti costituzionali, ma il comandante in capo dell’esercito nomina il ministro della Difesa, il ministro degli Interni e il ministro degli Affari di confine, e quindi ha in mano una serie di poteri importantissimi per un Paese. Ci sono sicuramente accordi tra il partito di Aung San Suu Kyi e l’Usdp, che è il partito di governo, perché entrambi comprendono l’importanza di andare incontro alle richieste internazionali, dell’Unione Europea, degli americani e così via, però non sono riusciti a smussare il peso dei militari. Aung San Suu Kyi ha raccolto cinque milioni di firme tra la popolazione birmana perché ci fossero i cambiamenti alla Costituzione, quindi ci vuole anche un impegno maggiore delle istituzioni internazionali, in questo senso. Le elezioni del prossimo novembre hanno già di per sé alcuni problemi, perché la lista delle persone che possono votare è fatta male, non è completa, ci sono alcuni gruppi che sono completamente fuori, ci sono alcune aree del Paese che non sono presenti, quelle dove c’è il conflitto. Si temeva già prima del voto che alcuni partiti politici o alcuni candidati potessero mettere in atto delle posizioni molto radicali sul piano nazionalista o religioso, quindi ci sono problemi importanti perché queste elezioni sono un’altra cartina di tornasole e devono essere libere, eque, inclusive e trasparenti.

D. – Seguendo un po’ l’andamento del Paese, e gli umori del Paese, le elezioni potrebbero forse cambiare l’assetto parlamentare e influire poi sul dopo?

R. – Assolutamente sì. Il partito di Aung San Suu Kyi avrà molto probabilmente una vittoria molto robusta e questo significa che su molti temi di carattere sociale ed economico il gioco cambierà: ci sarà la presenza dei partiti delle nazionalità etniche, quindi anche lì bisognerà capire che tipo di alleanze. Certo, Aung San Suu Kyi non avrà una vittoria totale e quindi probabilmente dovrà fare un governo di coalizione. Bisogna vedere con chi lo farà.








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