2015-06-28 12:47:00

Elezioni in Burundi tra le proteste. Paese a rischio guerra civile


Nuove tensioni nella vigilia elettorale in Burundi. Questa notte almeno tre persone sono morte nella capitale Bujumbura, a seguito di scontri ed esplosioni di granate. Domani urne aperte per le elezioni parlamentari, poi il 15 luglio le presidenziali boicottate da più parti dopo la ricandidatura del presidente Pierre Nkurunziza per il quale sarebbe il terzo mandato. Gli osservatori europei hanno già abbandonato il Paese, l’Onu mantiene un atteggiamento neutrale ma aveva comunque chiesto più volte il rinvio della tornata, che dal 25 aprile scorso ha innescato violente proteste di piazza, in cui si sono registrati 70 morti. Per Marco Massoni, direttore di ricerca per l’Africa presso il Centro militare di studi strategici, esiste il rischio di una nuova guerra civile. Cecilia Seppia ha raccolto il suo commento:

R. – Sono elezioni farsa, perché al di là dell’aspetto meramente procedurale e, dunque, formale del loro svolgimento, comunque calendarizzato, l’Unione Europea ha dichiarato formalmente che non sussistono più le condizioni per una corretta osservazione delle elezioni e, dunque, gli osservatori elettorali europei hanno lasciato il Burundi. Le Nazioni Unite ovviamente mantengono un approccio quanto più neutrale possibile in maniera anche intelligente, cioè tale, comunque, da lasciar intendere che la destituzione di fondamento di elezioni evidentemente garantite solo da parte del presidente in carica, non possono essere rappresentative di alcunché. Importanti governi stranieri, come appunto Washington – gli Stati Uniti – ed anche altri hanno indicato l’impossibilità di rappresentatività della tenuta delle elezioni. E il fatto stesso che diverse, numerose, a più riprese, manifestazioni di piazza, da parte di chi fosse simpatizzante dell’opposizione, abbiano avuto luogo e già esistano situazioni di sfollati e di rifugiati, quindi di persone che si sono mosse oltre i confini del Burundi, è prodromico di una crisi enorme che sta per esplodere sotto gli occhi di tutti, con il rischio di degenerare in guerra civile e una classe al potere che sicuramente non si è dimostrata per nulla all’altezza del ruolo che intende continuare a ricoprire.

D. – Tra l’altro, le opposizioni sono molto divise tra di loro. La cosa più grave è che non c’è ad oggi uno sfidante valido, un nome, per opporsi a Nkurunziza…

R. – Sì, il problema è anche questo. Per quello che riguarda il Burundi, ovviamente, la situazione è molto più delicata. Un Paese che è stato per tanti anni in guerra civile e con un regime abbastanza dispotico, ovviamente ha difficoltà a favorire un coagularsi intelligente di porzioni della società civile che rivendicano politicamente, partiticamente, un proprio diritto di governare il Paese. E quindi questo, come altrove, fa pagare lo scotto e fa rendere più forte il presidente in carica, chi di turno, con il rischio sempre che poi siano i militari a risolvere la questione, per poi – come sta per accadere in Guinea Conakry - dopo qualche anno magari, dopo aver portato nuovamente il Paese ad un processo di normalizzazione, ricandidarsi come eventuali nuovi possibili presidenti.

D. – Per allargare lo sguardo, oltre alla crisi politica che il Paese vive e oltre ovviamente alle pressioni di un governo "dittatoriale", quali sono i problemi del Burundi?

R. – I problemi del Burundi sono i problemi legati a tutto un contesto più largo di problematiche regionali. Parliamo di Africa Centrale, della Regione dei Grandi Laghi, di opposizioni anche, di faglie etniche tra hutu e tutzi, quindi non religiose in questo caso. Il problema fondamentale di questi tre grandi Paesi - Burundi, Rwanda e ovviamente Uganda - che confinano con l’enorme Paese per eccellenza della Regione dei Grandi Laghi, che è la Repubblica democratica del Congo è che condividono una grande volatilità, una grande insicurezza, una grande depredazione di risorse naturali e problemi economici. Poi c’è un problema generalmente di post conflitto, vale a dire di ricostruzione della società civile, di fiducia reciproca. E sicuramente, in questo momento, Nkurunziza non è in grado di favorire questo processo.








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