2015-06-28 12:58:00

Giornata per la carità del Papa: "Mettere gli ultimi al centro"


Celebrata questa domenica, alla vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo, la Giornata per la carità del Papa, durante la quale, in tutte le diocesi del mondo, viene raccolto il cosiddetto Obolo di San Pietro. Le offerte permetteranno al Santo Padre di far fronte alle necessità di molti poveri che si rivolgono a lui. Sul senso e sull’importanza di questo gesto di generosità Eugenio Murrali ha intervistato mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:

R. -  Il 29 è la festa dei Santi apostoli Pietro e Paolo. Pietro è la roccia sulla quale Cristo ha costruito la sua Chiesa e Papa Francesco è il successore di Pietro. A me sembra che aver abbinato la festa con la carità del Papa sia un gesto di tenerezza e di amore nei confronti di Pietro, quindi del Pontefice. E qual è il regalo per la festa? Papa Francesco ce lo ricorda sempre, i suoi tesori sono gli ultimi e i poveri. E allora credo che abbinare la festa alla raccolta per alleviare le sofferenze di tante persone che sono nel bisogno, soprattutto dei poveri, siano il regalo e l’attenzione migliore che si possano dare al successore di Pietro. E credo che Papa Francesco gradisca molto che i poveri siano messi al centro.

D.  – Che ruolo ha la carità nel percorso di fede dei cristiani e degli uomini in generale?

R. – Credo che, nella nostra vita, ogni giorno noi dobbiamo manifestare i nostri sentimenti di amore, di attenzione, disponibilità, ma nel giorno dell’anniversario, del compleanno di ciascuno di noi, dell’onomastico, della festa, si ricordano in maniera particolare i sentimenti, quello che c’è nel cuore dell’uomo. E allora io credo che proprio in questo giorno noi manifestiamo quello che il cristiano dovrebbe essere ogni giorno, ma lo manifestiamo in maniera più visibile, più autentica, più profonda. Si lancia questo messaggio perché per il cristiano e nel cristiano l’attenzione all’ultimo, all’altro, è coessenziale con la sua fede: una fede che non porta ad avere attenzione all’ultimo, al povero, lo sappiamo perché ce lo dice la Scrittura, è una fede morta. Ma anche l’attenzione all’ultimo diventa solamente un’azione sociale, se non c’è un collegamento con il Signore Gesù, con Cristo.

D. – Partecipare con la propria offerta alla giornata per la carità del Papa è in realtà un gesto di generosità verso il mondo?

R. – Sì, perché noi abbiamo una visione molto bella che ci ha suggerito Gesù, San Paolo ce lo ricorda in maniera molto profonda. Noi siamo membra del corpo di Cristo. Lui è il capo, noi siamo le membra: se un membro soffre, anch’io soffro. Ecco noi cristiani dovemmo essere quelle persone che sanno godere con chi gode, sanno soffrire con chi soffre. La parola che più ci dovrebbe appartenere, ed è una parola che io sto suggerendo a tutte quante le persone che operano e vivono nell’ambito della Caritas, è la parola “commuovere”. Noi il prossimo anno, quando celebreremo dall’8 dicembre in poi il Giubileo della misericordia, dovremo essere capaci di commuovere, di commuoverci: non nel senso di piangere solamente davanti a un fatto: la parola commuovere significa “muovere con”. Dovremo essere capaci di muoverci “insieme”, “con”, soprattutto con coloro che hanno bisogno. Io non posso correre se c’è una persona che mi sta accanto e che cammina piano piano: devo essere in grado di camminare anch’io piano, perché quella persona ha bisogno. Se c’è un fratello che non ha la capacità di camminare o ha una carenza spirituale perché si sente disperato, si sente senza significato, io devo saper commuovermi davanti a lui, cioè camminare insieme con lui per poter farlo arrivare alla meta. Credo che questo sia il compito fondamentale del cristiano.








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