2015-06-30 12:19:00

E' morto don Salvatore. L'arcivescovo di Barletta: una testimonianza di luce


Si è spento ieri don Salvatore Mellone, il seminarista barlettano di 38 anni, malato terminale, ordinato sacerdote lo scorso 16 aprile. La sua vicenda ha commosso tutti. L’ordinazione era stata autorizzata in tempi rapidi per l’evolversi della sua malattia. Papa Francesco aveva chiamato il seminarista chiedendogli di riservare per lui la sua prima benedizione da sacerdote. Nel pomeriggio i funerali presieduti nella Parrocchia del Santissimo Crocifisso dall'arcivescovo di Barletta, Giovanni Battista Pichierri. Il presule ha seguito personalmente l’itinerario di don Salvatore. Ascoltiamo mons. Pichierri al microfono di Eugenio Murrali:

R. – Il centro della sua vita – mi ha sempre detto – è Gesù. Sorretto dalle forze delle Spirito Santo, si è posto nelle mani di Dio. Per cui la sua è una testimonianza di fede, ma anche una testimonianza di fedeltà alla chiamata. Era veramente pronto, preparato – attraverso la responsabilità che ha sempre manifestato nel corso degli anni di formazione – a ricevere il dono del sacerdozio. Il sacerdozio che egli ha vissuto, qui sulla terra, per 74 giorni e che lo ha reso ostia e vittima. Si è tutto offerto per il bene della Chiesa, in particolare per il Santo Padre, Papa Francesco, per i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i seminaristi e tutto il popolo di Dio. E’ una testimonianza di luce: egli, nella sofferenza, ha manifestato sempre una grande serenità, una grande luce interiore. Chi ha avuto modo di stare accanto a lui e di ascoltarlo avvertiva che la sofferenza era grande, ma lo spirito era veramente alato, elevava e portava alle altezze di Dio.

D. – Come lo hanno cambiato l’ordinazione e la vicinanza espressa da Papa Francesco?

R. – L’ordinazione sacerdotale l’ha vissuta lasciandosi identificare dallo Spirito Santo a Cristo, Sommo Sacerdote. Anche a tale riguardo mi diceva: “Come vorrei esercitare il mio ministero tra le corsie di un ospedale. Stare accanto agli ammalati, portare consolazione, sollievo, animandoli nella fede e nella gioia di fare sempre la volontà di Dio”. La preghiera era la sua forza e incoraggiava il papà, la mamma e la sorella – che sono stati veramente gli angeli custodi, insieme con la nonna Vittoria – e incoraggiava anche i sacerdoti che lo andavano a trovare a non lasciare mai la preghiera, che – egli diceva – è il respiro della nostra anima.

D. – Quali sono i suoi sentimenti oggi?

R. – Io sento una grande commozione, emotivamente, e sento – è chiaro – anche gli occhi che si inumidiscono di pianto. Però prevale la gioia. Vedere don Salvatore rivestito degli abiti sacerdotali… Mi diceva: “Quanto desidererei che il Signore mi desse la forza di celebrare una sola Messa in parrocchia…”. Questo non gli è stato concesso, perché non poteva muoversi da casa: ha potuto celebrare la Messa solo in casa per 50 giorni, perché negli altri giorni non se la sentiva… Oggi lo vedremo nella sua comunità parrocchiale, il Santissimo Crocifisso in Barletta. Lui ci guarderà dall’alto – ne sono certo – con gli occhi della risurrezione.

Riascoltiamo la testimonianza di don Salvatore, raccolta da Alessandro Gisotti poco prima della sua prima Messa da sacerdote, celebrata nella sua casa a Barletta:

R. – Ho una grande gioia da sempre ma in modo particolare in questi giorni questa gioia sta aumentando ancora di più. Si sente molto il senso della responsabilità perché comunque il ministero presbiterale ci chiama ad essere testimoni veri di Cristo, ma comunque questa testimonianza fin quando c’è la gioia, fin quando c’è questa grande carica di misericordia che ti arriva da Dio, ti fa stare bene. A pochi momenti dalla mia prima Messa ho veramente una grande serenità, una grande pace, che mi permette di abbracciare un po’ tutti e di farmi vivere una condizione – posso dirlo con molta umiltà – di beatitudine e di vera gioia, ecco.

D. – Salvatore, l’orizzonte della morte sembra completamente cancellato da quello della vita nelle sue parole e nella sua testimonianza…

R. – Sì, perché alla fine le paure, anche le incongruenze umane, quelle restano sempre, perché siamo persone, ma la prospettiva è altra: la prospettiva è quella di un amore caritatevole che ci abbraccia. E quindi senza questo amore caritatevole che ci abbraccia anche la vita terrena stessa, anche la sofferenza stessa, non avrebbe senso. C’è questa proiezione, che non è una proiezione sterile, ma è una proiezione concreta verso un qualcosa di molto più grande, di molto più bello.

D. – Lei ha ripetuto le parole di San Paolo ieri durante l’ordinazione: “Sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio”. E’ questo che sta vivendo e che trasmette anche come messaggio magari a chi sta male?

R. – Io penso proprio questo, che man mano che si va avanti proprio nell’affrontare la malattia, giorno per giorno la malattia non è mai uguale, non è mai la stessa. Ti accorgi che comunque nonostante la difficoltà puoi andare avanti, nonostante la difficoltà c’è la speranza, c’è la bellezza di un qualcosa di molto più grande di noi. Questo qualcuno molto più grande di noi si chiama Dio, si chiama Santissima Trinità.

D. – Lei ha rivolto la prima benedizione dopo l’ordinazione a Papa Francesco: era proprio quello che le aveva chiesto il Santo Padre chiamandola al telefono…

R. – Sì, con un po’ di trepidazione e, devo essere sincero, anche un po’ di imbarazzo perché può immaginare! Però con il cuore veramente pieno di gioia perché per noi tutti è un modello e per noi tutti è un maestro. Non possiamo fare altro che seguirlo, stargli dietro e benedirlo e continuare a pregare per lui.

D. – Le dà forza, immagino, anche questa vicinanza del Santo Padre in questo momento…

R. – Certo mi dà forza e mi dà forza la vicinanza di tante persone che si uniscono nella preghiera. Questa è la cosa più bella: che si preghi e si preghi e si continui a pregare perché possano venire fuori vocazioni e possano venire fuori anche cose belle nella vita delle persone.








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